Non ci sono più dubbi, il ministero per la Transizione ecologica è sempre il vecchio ministero dell’Ambiente. Non ci sarà transizione e tanto meno ecologica. Le scelte sul tipo di sviluppo del nostro Paese continueranno a essere fatte dal mercato, l’obiettivo da perseguire sarà sempre la crescita quantitativa, il dio Pil sarà sempre la nostra unità di misura e, al massimo, si darà una spolverata di verde purché sia “sostenibile”, e cioè sia compatibile con le esigenze del mercato e del profitto aziendale. Eppure, non ci vuole molto a capire che abbiamo già da tempo intaccato il capitale ambientale e che non si può continuare all’infinito a distruggere risorse e materie prime. Certo, ci sono alcune linee guida (non operative) interessanti in tema di economia circolare e qualcosa cambierà, specie per la cd. “transizione energetica” verso le rinnovabili, impostaci dalla Ue, che, tuttavia, appare incerta e inadeguata, e viene considerata come un fattore di mercato e non come piattaforma indispensabile per cambiare stili di vita e modello di sviluppo; dimenticando che, a questo proposito, la Ue, ben più coraggiosamente, precisa almeno che “serve una radicale transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani”; evitando, cioè, “irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socio-economici”. Non a caso nel Pnrr italiano si richiama più volte, come un mantra, il principio comunitario di “non arrecare danni significativi” all’ambiente, rivelando un intento di conservazione e non certo di rinnovamento e di “transizione” verso qualcosa di nuovo. L’importante è ricominciare a produrre e far ripartire presto i consumi, senza neppure distinguere i bisogni reali da quelli indotti attraverso un massiccio indottrinamento pubblicitario. E, se qualcuno obietta, ecco che si tira fuori la “decrescita felice”, confondendo il progresso con la […]