Col blocco da Covid i redditi nelle due città sono crollati. Ora i turisti sono tornati, ma il modello è sempre lo stesso, insostenibile: lavoro povero, affitti ricchi, servizi allo sbando
DI LEONARDO BISON, IL FATTO QUOTIDIANO, 30 MAGGIO 2022
Tra le maggiori città italiane, quella che ha conosciuto il più drastico calo del reddito annuo medio tra 2019 e 2020 è Venezia (-1.394 euro), seguita da Firenze (-799). Lo dicono i dati diffusi dal ministero dell’Economia ad aprile. Connettere il crollo con la dipendenza delle due città (in particolar modo di quella lagunare) dal turismo nazionale e ancor più internazionale, non appare difficile: anche nelle città dove il calo è minore, da Roma a Napoli, i quartieri più caratterizzati dalla presenza quasi esclusiva di attività dedicate al turismo e alla ristorazione hanno avuto crolli verticali.
Dati che non stupiscono, ma paiono indicare, per l’ennesima volta, quanto la monocultura turistica sia un asset economico troppo instabile per una società che si vorrebbe sostenibile: basta una pandemia, una guerra, un blocco e il castello di carte crolla. Erano elementi già evidenti nella primavera del 2020, ma che, nella disperata speranza che tutto tornasse come prima, non hanno portato alla scelta di rivedere nel profondo un sistema che vale il 13% del Pil italiano (e potrebbe valere anche di più, secondo l’analisi di organizzazioni internazionali come UnWto e World Economic Forum).
Da qualche settimana, invece, nel settore si lanciano continui allarmi. Da Venezia (che nel corso dell’estate potrebbe scendere per la prima volta sotto i 50mila residenti), a Firenze, a Roma, passando per Procida, la piccola isola campana scelta come Capitale Italiana della Cultura: l’impatto di flussi turistici incontrollati è tornato a confliggere con la vivibilità dei centri storici, con la disponibilità di servizi, col costo degli affitti. “L’isola non è pronta a questi volumi di turismo, così ci snaturiamo”, hanno spiegato al Mattino alcuni procidani.
L’allarme più rumoroso, al solito, è però quello che riguarda la mancanza di stagionali: lo dicono non solo i vari imprenditori del settore che “non riescono a trovare personale”, ma anche il ministero (ne mancano “tra i 250 e i 350 mila” secondo le stime del ministro Garavaglia). E ancora: allarmi che riguardano gli alloggi, i plateatici, le concessioni, il tutto in una profonda carenza di dati: con la gestione del fenomeno demandato dal 2001 alle Regioni – lasciate non di rado a competere tra loro e autonome nella raccolta dati – e un ente nazionale (Enit) mal finanziato non ci si poteva attendere nulla di diverso: il turismo è tornato, ma ci siamo lasciati trovare di nuovo impreparati.
Emblematico è il caso delle professioni turistiche, e in particolare della più richiesta, quella di guida turistica: una riforma dell’accesso alla professione si attende dal 2013 e con urgenza dal 2020 – da quando il Consiglio di Stato ha sancito che in nessuna parte d’Italia si potranno abilitare nuove guide in assenza di una legge – ma un ddl sul tema è stato calendarizzato al Senato solo poche settimane fa: anche questa stagione turistica sarà gestita in assenza di personale abilitato a sufficienza, affidandosi ad abusivismo e improvvisazione.
Ma partiamo dal lavoro. Il mercato del lavoro turistico è ben poco regolamentato, caratterizzato da salari impietosi – tanto da entrare in conflitto con i 4-500 euro del reddito di cittadinanza – da lavoro nero o grigio, da contratti intermittenti concentrati su pochi mesi l’anno: sempre meno attrattivo. Già nel 2019 i salari del settore (Retribuzione Annua Lorda, RAL) erano di 2 mila euro più bassi rispetto alla media nazionale. Il World Economic Forum, nel Travel and Tourism Competitiveness Index in cui mette a confronto le economie turistiche di 140 Paesi, poneva l’Italia al 63esimo posto per qualità del mercato del lavoro e capacità di impiegare adeguatamente le risorse umane. Ma le condizioni occupazionali, nel settore turistico, hanno subìto un deterioramento ancor più pronunciato rispetto a quanto accaduto altrove: non stupisce che chi ha perso il lavoro (gli impiegati della filiera sono passati da 1,3 milioni nel 2019 a 950mila nel 2020) abbia deciso in buona parte di accasarsi altrove.
Non meno importante, l’irrisolto conflitto tra residenti e turisti (e aspiranti residenti) sta tornando a fare rumore e non solo per questioni abitative: a Venezia, ad esempio, il servizio di trasporto pubblico non è ancora tornato ai livelli pre-Covid, ma i numeri turistici di maggio sì. Lì, come a Firenze – dove si contano ormai 80mila posti letto, due terzi nell’extralberghiero (AirBnB, fondamentalmente) – l’impatto sugli affitti è tornato a mordere, con una contraddizione non da poco: il flusso turistico spinge la creazione di nuovi spazi ricettivi alzando gli affitti, ma d’altra parte non garantisce salari che possano permettere la vita in quegli stessi luoghi a chi col turismo lavora.
In tutte le maggiori città turistiche torna poi a porsi il problema dei servizi pubblici, pagati dai residenti ma non dai visitatori, che ne usufruiscono in massa. Per Grazia Galli, attivista di Progetto Firenze e co-autrice de La filosofia del trolley (Carmignani 2019), una situazione che era “già emergenziale prima della pandemia ora si sta imponendo con effetti ancora più drammatici”. Tutto ciò era “prevedibile, ma ancora si esita a darsi coraggio politico per governare il fenomeno”. Mentre Galli e colleghi, insieme al sindacato Sunia toscano, stanno portando avanti una proposta di legge regionale sul tema, una nazionale nasce dalla campagna “Alta Tensione Abitativa”, che ha avuto slancio grazie all’azione del regista Andrea Segre e al suo Welcome Venice. Progetti diversi ma con obiettivi e principi comuni: dare alle amministrazioni locali migliori strumenti per la gestione delle destinazioni d’uso, regolamentare il settore e sfavorire la grande rendita immobiliare.
Con un’oculata gestione, si può ottenere un settore turistico che non entri in conflitto con le necessità di lavoratori, residenti e cittadini. Esistono proposte solide, ma lontane dall’agenda governativa: al ministro Garavaglia, ad esempio, appare prioritario “pagare il 50% del reddito di cittadinanza a chi accetta un lavoro stagionale” in modo da non intaccare i (miseri) salari. Mentre nel Pnrr ci sono centinaia di milioni investiti in eventi eccezionali, dal Giubileo 2025 a Roma in giù, o concentrati su situazioni già cariche di turisti: nelle intenzioni del ministro Franceschini dovrebbe arrivare un hub dell’Alta Velocità di fronte agli scavi di Pompei. Un’eccezionalità continua, un’ordinaria straordinarietà. E a guadagnare sono sempre gli stessi.