Aumento dei prezzi e crisi alimentare in tempo di guerra. Retroscena nel rapporto iPES FOOD

DI MARTA STRINATI, GREAT ITALIAN FOOD TRADE, 10 MAGGIO 2022

L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e l’aggravarsi della drammatica condizione in cui versano larghe fasce della popolazione mondiale come conseguenza della crisi ucraina sono esasperati da distorsioni dei sistemi alimentari note e mai sanate. Le stesse anomalie minacciano costantemente la sicurezza alimentare globale, intesa come accesso al cibo (food security). Al tema, iPES FOOD dedica un rapporto speciale dal titolo eloquente: ‘Un’altra tempesta perfetta?’. (1)

Aumento dei prezzi alimentari, l’impatto della crisi ucraina

La tragedia di morti, feriti, sfollati e della distruzione di quanto costruito in vite intere di lavoro si aggiunge alla fame come conseguenza sistematica della violenza. In Ucraina come in oltre 40 zone di conflitto attive nel mondo – Yemen, Siria, Afghanistan, Etiopia, Sahel, etc. – a discapito di più di due miliardi di persone, metà delle quali versa in condizioni di estrema povertà.

Gli effetti del conflitto russo-ucraino si riverberano gravemente, tra l’altro, sui mercati agroalimentari globali. Al blocco delle esportazioni di grano ucraine e russe si sommano infatti le restrizioni all’export imposte in 20 Paesi. Per proteggere il mercato domestico dalle volatilità dei prezzi, ma anche per creare carenze temporanee e rincari.

Rincari da fame

L’aumento dei prezzi dei generi alimentari (e dell’energia e delle materie prime) che stiamo affrontando nelle economie avanzate sono in grado di esacerbare la fame in molte delle regioni più povere e vulnerabili del mondo.

I prezzi del grano hanno raggiunto il picco in 14 anni a marzo, +20% rispetto a febbraio e +34% in un anno, secondo la FAO. Anche il mais ha raggiunto prezzi record, per previsioni di raccolto scarso. E l’impennata dei prezzi dei fertilizzanti – con lo stop di quelli russi e ucraini – acuisce la crisi per gli agricoltori ‘convenzionali’. (2)

L’Africa più a rischio

L’Africa è la regione più a rischio. Quasi il 40% delle importazioni totali di grano africano proviene da Russia e Ucraina. In Eritrea rappresenta il 100%. In Somalia oltre il 90% e nella Repubblica Democratica del Congo più dell’80%.

Il prezzo del pane è quasi raddoppiato in Sudan e aumentato del 70% in Libano. Intanto, la volatilità dei prezzi si sta già diffondendo nei mercati della soia, del mais e del riso.

Secondo la FAO, il numero globale di persone denutrite aumenterà di 13,1 milioni nel breve termine (2022/23), di cui 6,4 milioni nell’Asia-Pacifico e 5,1 milioni nell’area Africa sub-sahariana. Dopo la pandemia, la guerra. E l’obiettivo ONU di sradicare la fame entro il 2030 sembra più lontano.

Le debolezze strutturali dei sistemi alimentari

Ad amplificare gli effetti del conflitto in Ucraina sulla sicurezza alimentare contribuiscono una serie di malfunzionamenti dei sistemi agroalimentari già emersi nella crisi globale dei prezzi alimentari del 2007-2008, nei successivi picchi di prezzo del 2010-2012 e nella crisi da Covid-19 nel 2020-2021.

iPES FOOD ne analizza i fondamentali.

Dipendenze dalle importazioni di cibo

Di fronte a crisi come quella in corso, alcuni paesi sono altamente vulnerabili a causa di una dipendenza dal cibo di importazione (e dai fertilizzanti) che discende da diversi fenomeni. Già nell’era coloniale si è avviato il cambiamento della dieta tradizionale con l’introduzione delle colture di grano, riso e mais. Le stesse poi veicolate tramite gli aiuti internazionali, anche nei paesi ove è impossibile coltivarle.

Al contempo, anche dove queste colture erano in uso, quelle da reddito hanno preso il sopravvento. In Africa la transizione è iniziata con i programmi di adeguamento strutturale negli anni ’80. Ma la tendenza è molto diffusa.

Ad esempio, si ritiene che la coltivazione del tabacco abbia sostituito verdure e legumi in Bangladesh, così come manioca, miglio e patate dolci in un certo numero di paesi africani.

Lo sviluppo di varietà di grano ad alto rendimento durante la ‘rivoluzione verde’, invece, in India ha condotto alla sostituzione di legumi e riso con monocolture di grano.

Il club dei mercanti di grano

Ad acuire le difficoltà di molti paesi è la dipendenza da un numero limitato di esportatori. Secondo i dati dell’USDA, solo 7 paesi più l’UE rappresentano il 90% delle esportazioni mondiali di grano e solo 4 paesi rappresentano l’87% delle esportazioni mondiali di mais.

I mercanti mondiali del grano sono invece quattro società, che ne controllano il 70-90%. Sono note come ABCD, vale a dire Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill, Dreyfus. Questi giganti, assieme agli operatori dei silos e i grandi agricoltori, detengono certamente grandi riserve di grano, sebbene i dati siano segreti.

La spirale del debito

Gli stessi paesi dipendenti dalle importazioni sono anche molto indebitati. Ciò crea un circolo vizioso in cui la necessità di liquidità per pagare i debiti e importare cibo impedisce ogni investimento migliorativo per il futuro.

Nonostante le reiterate promesse – a ogni crisi – di intervenire sul debito dei paesi svantaggiati, nulla si è fatto. Nel 2020, in piena pandemia, 62 paesi in via di sviluppo hanno speso più per ripagare il debito che per l’assistenza sanitaria.

Lo stress causato dalla crisi dei prezzi 2007-2008 e dalla dipendenza dalle importazioni alimentari è stata la causa di rivolte popolari con esito drammatico, ricorda iPES FOOD. Ma il passato non sempre insegna.

Produzioni agricole insostenibili

In risposta all’aumento dei prezzi alimentari e alle crescenti preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare, sono aumentate le richieste ai paesi di spostare i modelli di produzione: dal carburante al cibo, dai mangimi al cibo o dalle colture da reddito orientate all’esportazione ai prodotti di base di consumo locale. (3)

A frenare questa transizione verso sistemi alimentari sostenibili, resilienti e diversificati, tuttavia, concorrono diversi ostacoli:

– la specializzazione in monocolture (nella ‘cintura del mais’ statunitense o la ‘cintura della soia’ argentina, per esempio) poggia su massicci investimenti, formazione, attrezzature, reti logistiche e politiche di sostegno che è impossibile smantellare d’un colpo,

– la produzione di biocarburanti è sempre più incentivata dai governi, a fronte dell’aumento dei prezzi di petrolio e gas,

– i sistemi alimentari, la filiera e l’industria alimentare sono ormai fortemente strutturati sugli attuali sistemi globali di scambio di grano e mais,

– gli agricoltori di tutto il mondo dipendono sempre più dai fertilizzanti di sintesi. La domanda globale per i tre principali (azoto, fosfato e potassio) è aumentata dell’8,5% dal 2002 al 2016. Solo 6 colture (mais e grano in primis) rappresentano due terzi della domanda e una manciata di paesi esportatori domina in commercio. Il dramma è che più si usano fertilizzanti sintetici, più si impoverisce il suolo, di nuovo colmato degli stessi fertilizzanti per avere raccolti rapidi e abbondanti.

Mercati tra opacità e speculazione

Un altro difetto di fondo che ha trasformato la crisi ucraina in una crisi della sicurezza alimentare globale è la natura opaca e disfunzionale dei mercati dei cereali, soggetti a forte speculazione.

Alcuni paesi hanno aumentato la semina del grano in previsione della l’invasione russa: India, Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina e Sud Africa

Attualmente, il rapporto tra stock di cereali e consumo globale è al 29,7% (in leggero calo rispetto al 29,8% nel 2020/2021) e rimane soddisfacente e solo leggermente al di sotto degli anni precedenti per frumento (35,3%) e mais (25,8%); al 37%, i rapporti tra stock di riso e consumo sono in realtà superiori agli anni precedenti.

Si stanno verificando interruzioni dell’approvvigionamento poiché sono attese spedizioni di grano nuove/dirottate, che portano a carenze temporanee e prezzi in aumento, ma al momento non c’è una carenza di approvvigionamento alimentare globale’, afferma iPES FOOD.

La finanziarizzazione delle materie prime

Un ruolo importante nello shock sui prezzi va poi alla speculazione sulle materie prime, favorita dalla mancanza di trasparenza, in particolare sulle scorte di cereali. I futures sulle materie prime svolgono un ruolo importante nella determinazione dei prezzi dei cereali, forniscono liquidità ai mercati e quindi li fanno funzionare.

Tuttavia, la ‘speculazione eccessiva’ altera la logica basata su domanda e offerta. E quando oggetto delle ‘scommesse’ è il cibo, vengono colpite le persone più povere del mondo. Nel 2007-2008, un massiccio afflusso di investimenti finanziari speculativi ha contribuito all’impennata dei prezzi dei futures e a quella che oggi viene definita una crisi globale dei prezzi alimentari.

Povertà e insicurezza alimentare

Un’altra debolezza strutturale che l’attuale crisi ha messo a nudo è il fatto che centinaia di milioni di persone non hanno il reddito o le risorse per adattarsi a shock improvvisi.

Più del 50% degli agricoltori e dei lavoratori rurali vive al di sotto della soglia di povertà in diversi paesi del Sud del mondo con la più grande popolazione rurale.

Le popolazioni più povere nei paesi a basso reddito spendono oltre il 60% del loro reddito per il cibo. In questa condizione, anche piccoli aumenti dei prezzi possono avere impatti devastanti, vulnerabilità che sono state crudelmente esposte dalla pandemia di Covid-19.

Cambiamento climatico

Gli shock climatici ormai affliggono regolarmente l’agricoltura, creando una vulnerabilità persistente e incertezza nei mercati globali. L’IPCC stima che il cambiamento climatico abbia ridotto la crescita della produttività agricola del 21% dal 1961 e fino al 34% in Africa e America Latina.

Le principali regioni agricole stanno attualmente affrontando la peggiore siccità degli ultimi decenni, tra cui gran parte dell’Asia occidentale e del Nord Africa, il Corno d’Africa, parti del Brasile e dell’Argentina e il Midwest nordamericano.

Carestia e instabilità

Dopo quattro anni senza pioggia e anni di gestione insostenibile delle risorse (anche attraverso pratiche estrattive minerarie), il Madagascar sta affrontando la carestia.

Lo Sri Lanka sta vivendo la peggiore crisi economica degli ultimi 70 anni, inclusa la carenza di cibo e le interruzioni di corrente, poiché i picchi dei prezzi alimentari globali si sono combinati con una cattiva gestione economica, inclusa una transizione fallita all’agricoltura biologica.

I paesi del Sahel (Burkina Faso, Mali e Niger in particolare), Kenya, Etiopia, Sudan e Sud Sudan stavano già sperimentando instabilità socioeconomica e shock climatici prima della crisi ucraina e ora sono particolarmente vulnerabili.

Secondo il Global Crisis Response Group delle Nazioni Unite, circa 69 paesi – che ospitano 1,2 miliardi di persone – sono gravemente o significativamente esposti all’instabilità alimentare, energetica e finanziaria.

In questo contesto, anche le agenzie umanitarie sottofinanziate faticano a tenere il passo. Persino gli ammortizzatori sociali nei paesi ricchi e a reddito medio sono sotto pressione. Nel Regno Unito, la quinta economia più grande del mondo, è probabile che 1 famiglia su 10 attinga ai banchi alimentari poiché i prezzi dei generi alimentari aumenteranno nei prossimi mesi.

Le soluzioni miopi

A fronte della crisi non sono mancate proposte di soluzione miopi. Tre esempi.

A) Sospensione della regolamentazione ambientale per ‘nutrire il mondo’

Al G7 di aprile 2022, il presidente della Banca mondiale David Malpass ha chiesto di aumentare la produzione di cibo, energia e fertilizzanti. L’IFPRI (International Food Policy Research Institute) ha subito invitato i produttori di grano a fare tutto il possibile per aumentare la produzione.

In questo solco, nella UE sono minacciati i propositi di Farm2Fork: entro il 2030 dimezzare i pesticidi, ridurre del 20% i fertilizzanti, convertire al bio il 25% dei suoli agricoli e ripristinare il 30% delle torbiere.

Pressata delle lobby agricole, la Commissione europea ha rinviato due proposte legislative chiave – il regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi (SUR) e gli obiettivi di ripristino della natura – e ha consentito agli Stati membri di coltivare (anche con prodotti chimici) su terreni precedentemente designati come ‘aree di interesse ecologico’. Misure simili sono state proposte negli Stati Uniti.

In Brasile, il presidente Jair Bolsonaro ha affermato che l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti giustifica il continuo sfruttamento dell’Amazzonia, anche nelle terre indigene, alla ricerca di minerali.

Queste politiche, che sfruttano le crisi per demolire lo sviluppo sostenibile, vengono definite da Naomi Klein la ‘dottrina dello shock’.

B) Nuovi finanziamenti ad AGRA

Per rispondere agli effetti dell’attuale caro-prezzi sui paesi africani è partita anche la richiesta di incrementare i finanziamenti alla Alleanza per una ‘rivoluzione verde’ in Africa (AGRA), lanciata nel 2006 con lo scopo di ‘ridurre l’insicurezza alimentare del 50% in almeno 20 paesi e raddoppiare i redditi di 20 milioni di famiglie di piccoli proprietari’ entro il 2020.

Il programma è finanziato per gran parte dalla Bill and Melinda Gates Foundation, ma circa un terzo del miliardo di dollari spesi nell’ultimo decennio proviene da altre agenzie multilaterali, tra cui USAID, UKAID e il dipartimento tedesco per la cooperazione allo sviluppo (BMZ).

Gli obiettivi enunciati sono ancora lì. E ci si chiede se sia congrua la ricerca di un ulteriore miliardo di dollari al 2030, considerato che analisi indipendenti mostrano un aumento della fame del 31% nei paesi in cui AGRA ha operato tra il 2006 e il 2018.

C) Nuovi organismi e frammentazione

Ulteriore problema è la creazione frettolosa di nuovi organismi per fronteggiare le crisi. Un modus che finisce per creare sovrapposizioni con gli organismi preesistenti, indebolendone il ruolo.

Per la crisi ucraina, a fine di aprile, il ministro dello sviluppo tedesco ha chiesto la creazione di una nuova alleanza per la sicurezza alimentare globale, che riunisca i paesi donatori, le organizzazioni internazionali e il settore privato per affrontare gli effetti della guerra in Ucraina e coordinare la distribuzione degli aiuti alimentari. Ed è stato rapidamente costituito anche un Global Crisis Response Group (GCRG) delle Nazioni Unite su cibo, energia e finanza.

Inoltre, la crisi ha suscitato nuove richieste per la creazione di un panel scientifico – un ‘IPCC for Food’ – per accelerare la consulenza scientifica ai responsabili politici.

Come evitare la prossima ‘tempesta perfetta’

Il corposo rapporto speciale di iPES FOOD si conclude con la raccomandazione di adottare 5 misure per affrontare l’emergenza e avviare una trasformazione del sistema alimentare.

1 – Fornire assistenza finanziaria e alleggerimento del debito ai paesi vulnerabili,

2 – Reprimere la speculazione sulle materie prime, anche introducendo una tassa sui fondi indicizzati su queste commodities,

3 – Costruire riserve regionali di grano e un apparato globale di aiuto alimentare adatto alle crisi prolungate,

4 – Diversificare i sistemi di produzione e commercio alimentare. Passare a colture più resilienti e adatte al contesto locale (stress idrico, per esempio) e superare le logiche dell’OMC (Organizzazione mondiale del commercio) che hanno consentito all’agricoltura altamente sovvenzionata nel Nord del mondo di decimare la produzione interna in altre regioni.

5 – Ricostruire la resilienza e ridurre le dipendenze dannose attraverso la diversità e l’agroecologia, superando la dominanza dell’agricoltura industriale che ancora una volta si è dimostrata fallimentare nel fronteggiare una crisi.

Marta Strinati

Note

(1) iPES FOOD. Special Report. Food Price Crisis. Another Perfect Storm? https://ipes-food.org/pages/foodpricecrisis

(2) L’aumento dei prezzi dei fertilizzanti ora è alle stelle e la carenza è incombente. Russia, Ucraina, Cina e Kirghizistan hanno imposto restrizioni alle esportazioni di fertilizzanti e quelle bielorusse sono sanzionate dal 2021. Russia e Bielorussia insieme forniscono il 40% del fertilizzante di potassio mondiale; nel 2021, la Russia è stata anche il principale esportatore di fertilizzanti a base di nitrato di ammonio (49% dei mercati di esportazione globali) e di prodotti NPK (38%), ammoniaca (30%) e urea (18%).

(3) Greenpeace ha esortato l’UE a trasferire la produzione di colture foraggere per gli allevamenti intensivi in colture alimentari per il consumo umano, sostenendo che sarebbe sufficiente deviare solo l’8% delle colture foraggere dell’UE per compensare la perdita di importazioni di cereali dall’Ucraina e garantire l’accesso al cibo per gli abitanti più poveri del blocco. https://www.greenpeace.org/eu-unit/issues/nature-food/46105/reduce-eu-meat-factory-farming-to-replace-ukraines-wheat/ 

Una lettera firmata da centinaia di scienziati suggerisce che il passaggio all’agricoltura biologica sul 25% dei terreni dell’UE – come richiesto dalla ‘Farm to Fork’ dell’UE – consentirebbe all’Europa di ridurre drasticamente le importazioni di fertilizzanti azotati e quindi di ridurre l’esposizione ad aumento dei prezzi e carenze.

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