Draghi aveva detto: “Scorte fino all’autunno”, però Besseghini (Arera) lo smentisce: “Bisognerà razionare, altro che condizionatori bassi”
DI MARCO PALOMBI, IL FATTO QUOTIDIANO, 22 APRILE 2022
Ogni tanto capita che qualche elemento di verità si faccia strada in mezzo alla cortina fumogena di faciloneria e propaganda alimentata – ahinoi – anche dai “tecnici” al governo: l’Italia in caso di blocco dell’export russo di gas ha circa 10 settimane di autonomia prima di passare a distacchi programmati delle utenze; se accadesse da inizio maggio per via del rifiuto di pagare in rubli significherebbe arrivare più o meno a metà luglio (e non “tranquillamente a ottobre”, come ha sostenuto Mario Draghi). Questa non è una deduzione del Fatto, ma una dichiarazione del presidente dell’Autorità per l’energia (Arera) Stefano Besseghini al Corriere della Sera: l’opinione pubblica può certo appoggiare la decisione di chiudere i rapporti con la Russia per questioni etiche o perché ritiene che questo possa aiutare l’Ucraina a porre fine al conflitto (ancorché sia indimostrabile), ma dovrebbe farlo sapendo cosa c’è davvero in ballo.
Ripartiamo da capo. Ieri i ministri Luigi Di Maio e Roberto Cingolani – scortati da Descalzi dell’Eni – hanno fatto la seconda tappa, in Congo, del tour africano in cerca di gas alternativo a quello russo. Ricapitolando: si tratta di 30 miliardi di metri cubi che servono a produrre elettricità e a far andare riscaldamenti, cucine e industrie. Sostituirli sarà affare di anni e pagato a caro prezzo: mezzo mondo cerca gas insieme a noi. Ieri Cingolani ha detto alla Stampa che invece ne saremo fuori in 18 mesi, cioè per la fine del 2023. Gli accordi siglati finora, però, non garantiscono affatto che andrà così: dall’Algeria ne dovrebbero arrivare 9 miliardi in più (forse) ma al massimo 3 quest’anno (si andrà a regime, di nuovo forse, nel 2024); l’intesa con l’Angola di mercoledì ne vale altri 1,5 miliardi se va benissimo dal 2023, la firma ieri in Congo altri 4,5 miliardi in un progetto che dovrebbe partire (sic) nel 2023.
Nota a margine: più della metà di questo gas è Gnl, gas liquefatto che arriva via mare, per il quale ad oggi non abbiamo la capacità di rigassificazione necessaria (Snam tratta due navi rigassificatore: la prima sarà forse operativa a giugno 2023). Nel frattempo, peraltro, i progetti Eni in Libia si fermano uno dopo l’altro per la guerra civile, mentre il risparmio energetico (condizionatori, riscaldamenti, illuminazione pubblica, etc.) in uno scenario molto ottimistico consente di tagliare circa 5 miliardi di mc.
Diciamo allora che il governo ha buttato il cuore oltre l’ostacolo sull’autonomia da Mosca, al prezzo peraltro di legarsi a Stati non meno autocratici e con contratti lunghi, che non potranno che rallentare la transizione “verde”. Solo che 18 o 24 mesi in questa situazione sono un’èra geologica. Se, come tutti sperano, ci fosse anche solo un cessate il fuoco sarebbe assai più difficile far ingoiare all’opinione pubblica la rinuncia immediata a gas e petrolio russi per punire Vladimir Putin. Se accadrà, dunque, è probabile che sia in queste settimane/mesi: la prima occasione è a inizio maggio, quando Mosca potrebbe chiedere di pagare in rubli (com’è noto l’escamotage del doppio conto in Gazprombank con cui si voleva aggirare l’ostacolo non piace alla Commissione Ue).
E qui torna centrale la questione degli stoccaggi. Secondo il dataset GIE, quelli italiani mercoledì erano pieni al 32% circa, ma il livello rispetto al tasso di consumo è all’8,1%. Va detto che la “stagione” degli stoccaggi è appena iniziata: marzo è andato malissimo, aprile un po’ meglio grazie a un premio riconosciuto a chi partecipa alle aste che viene pagato dai consumatori in bolletta. Per Draghi, però, è tutto a posto: non solo “arriviamo a ottobre”, ma a Pasqua ci ha fatto sapere che “abbiamo gas negli stoccaggi e avremo altri fornitori: se anche dovessero essere prese misure di contenimento, sarebbero miti”.
Cos’ha detto invece Besseghini di Arera? “Se andiamo incontro a una chiusura delle forniture di gas russo, il rischio che gli stoccaggi non siano riempiti a sufficienza c’è eccome” e “in quel caso entreremmo quasi certamente in uno scenario di emergenza, quindi scatterebbe un protocollo che prevede dei distacchi di carico e delle prevalenze fra le utenze. I dettagli sono riservati”. Quale autonomia abbiamo? “Volendo fare una stima, almeno 10 settimane, mettendo in campo le riserve strategiche e ottimizzando i consumi”. Dunque, se accadesse a breve arriveremmo a metà/fine luglio. Una previsione simile a quella raccolta dal Fatto in ambienti Eni: “Arriviamo al massimo ad agosto”. Qui non si parla di condizionatori abbassati, ma di fabbriche chiuse: andrebbe spiegato con chiarezza.