Gli effetti della crisi climatica sugli individui sono ormai manifesti e medici e scienziati cominciano a preoccuparsene. E questo anche perchè i media “dipingono un futuro caratterizzato dall’apocalisse”, ma ci si può anche difendere: ecco le strade che deve seguire lo psicoterapeuta
DI ELISABETTA AMBROSI, IL FATTO FOR FUTURE, 19 APRILE 2022
Possono essere acuti o cronici, possono avere una causa specifica – un disastro ambientale – oppure avere un’origine “più subdola e plurifattoriale”. In ogni caso, gli effetti della crisi climatica sugli individui sono ormai manifesti e medici e scienziati cominciano a preoccuparsene, come ha fatto il medico e psicoterapeuta Matteo Innocenti nel libro in uscita Ecoansia (Erikson). Oltre agli effetti sul fisico di tipo traumatico – basti pensare ad alluvioni, ma anche a incendi e ondate di calore, per non parlare dell’inquinamento che causa patologie di ogni tipo, dell’invasione della plastica che ingeriamo indirettamente, dell’aumento di malattie trasmesse da animali e insetti – la crisi climatica può produrre anche una modifica dei comportamenti. Le ondate di calore, ad esempio, aumentano il tasso di aggressività criminalità, riducono la coesione sociale, spingono al consumo di droghe e alcol, favoriscono l’incremento del disturbo bipolare e depressivo, addirittura fanno aumentare i suicidi: secondo uno studio su “Nature Climate Change” del 2018 per ogni aumento di un grado il tasso di suicidi negli Stati Uniti e Messico è aumentato dello 0,7% o 2,1%.
Quando prevale il senso di impotenza
Ma soprattutto, il cambiamento climatico, e l’annuncio costante dell’imminente peggioramento della situazione, possono incidere in maniera drammatica sulle psiche degli individui, causando una preoccupazione tanto più grande, spiega l’autore, “quanto più diminuisce la distanza psicologica percepita tra il cambiamento climatico e se stessi”. E quando i livelli di eccitazione negativa diventano alti si arriva a sviluppare una vera e propria “ansia climatica” o ecoansia, “un emozione di affanno e preoccupazione che qualcosa di dannoso, minaccioso e incontrollabile possa accadere da un momento all’altro”. Sull’ecoansia, l’autore lo sottolinea con grande fermezza, una grande responsabilità ce l’hanno i media, che “quando parlano di cambiamento climatico, invece di fornire dati chiari e soluzioni concrete, “dipingono un futuro caratterizzato dall’apocalisse climatica”, senza mai “proporre una narrazione positiva improntata sul trasmettere l’amore per la natura e cercare una riconnessione con essa”.
Le reazioni delle persone esposte alle notizie catastrofiche possono essere di tre tipo. Un primo modo di reagire è negare l’utilità di un approccio sostenibile, una seconda invece è l’impegno nella ricerca di un modo diverso di rapportarsi con l’ambiente, un terzo modo invece è la cosiddetta “ecoparalisi”. Quando l’individuo resta appunto paralizzato in un limbo di ansia e inattività. L’ecoparalisi è caratterizzata dalla perdita di speranza, dal senso di impotenza, depressione e annullamento di ogni senso di efficacia di fronte ai cambiamenti climatici e può sfociare nel “global dread”, ovvero una costante sensazione di incombente catastrofe, unita a malinconia e terrore. Sentimenti che possono intrecciarsi con quello che lo studioso Glenn Albrecht definisce “terrafurie”, ovvero rabbia estrema diretta verso quelle istituzioni politiche ed economiche viste come status quo.
Ma come si “curano” queste patologie, che tra l’altro sono sintomatologie di comunità e possono avere anche, nota Innocenti, aspetti utili, oltre al fatto che esistono pochi interventi validati nella letteratura scientifica? In generale, i sintomi dell’econsia non vanno spenti, me gestiti, anche perché le preoccupazioni riguarda al cambiamento climatico sono “fondate e razionali” e possono funzionare da catalizzatori per l’adozione di comportamenti sostenibili. Una cosa ben diversa, insomma, dai disturbi psichiatrici “classici”.
Salvare il mondo, ma anche il proprio benessere psicologico
Come sottolinea la studiosa Joanna Macy, portavoce di una visione ambientalista scientifica ma influenza da aspetti psicologici e spirituali, ci sono pratiche che aiutano trasformare la disperazione e l’apatia in una azione costruttiva e collaborativa. Nel workshop da lei ideato e chiamato The work that reconnects, si inizia stimolando la gratitudine, poi onorando il dolore ecologico con il mondo, che viene condiviso invece che represso e patologizzato, infine si invitano i partecipando a rifiutare una visione tecno-sistemica ma impegnarsi per una società che sostiene la vita.
Fondamentale dunque “contrapporre al senso di impotenza una percezione di speranza: non è vero che tutto è perduto, qualcosa può essere ancora fatto”. Altre strategie classiche comprendono la riconnessione con la natura, la ricerca delle buone notizia in ambito ambientale, la lettura e l’approfondimento, cercare di fare rete il più possibile, oltre che restare in contatto sia con il proprio corpo che con la propria cultura.
Tornando in ambito strettamente terapeutico, il terapeuta dovrà valutare le cause che hanno scatenato il disturbo e i contesti che lo generano. Dovrà poi capire se ciò che tormenta il paziente è una visione nostalgica del passato o paura del futuro incerto, e se il disturbo si è sviluppato in seguito a un’esposizione diretta oppure a una esposizione mediatica. Il terapeuta dovrà capire quali sono i pensieri disfunzionali per renderli funzionali, lavorare sul senso di autoefficacia del soggetto, invitandolo a trovare soluzioni anche al suo malessere, per fargli capire che il fine del suo percorso non è solo la salvezza del mondo ma anche la salvaguardia del suo benessere psicologico. È importante aiutare le persone a capire che farsi travolgere da una sofferenza che ha basi razionali non è utile né al paziente né alla comunità. In effetti, “se il paziente mette la sua vita in stand by aspettando che il dolore ecologico passi, la guarigione non arriverà mai: pertanto imparare ad accettare il dolore ecologico come parte fondante della vita e concentrarsi sul presente e sui propri valore personali diviene di grande aiuto per il benessere psicofisico di chi soffre a causa del clima”.