Di SILVIA TRUZZI, IL FATTO QUOTIDIANO, 6 APRILE 2022 L’Italia ripudia la guerra. Così dice l’articolo 11 della Costituzione: il verbo, oggetto di dibattito durante i lavori, fu preferito ad altri dai costituenti proprio perché esprime un rifiuto inequivocabile. Con Michele Ainis, ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre, proviamo a capire come, e se, questo principio si accorda con le recenti decisioni del Parlamento.Professore, come si concilia l’invio di armi con la Carta?Se adottiamo il punto di vista dei costituenti del ’47, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito con una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico. Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo dopoguerra, è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale. Eppure l’esercito italiano ha combattuto molte guerre oltre confine: in Libano, Somalia, Iraq, Bosnia, Afghanistan, Libia. E, con i bombardamenti in Kosovo, nel 1999.Ecco, anche ai tempi del Kosovo si ricordò che l’articolo 11 costituiva un ostacolo all’intervento militare.Sì, fu Clemente Mastella a fare questa obiezione. Leopoldo Elia, maestro di tanti di noi, rispose che il nuovo ordine internazionale legittimava un’interpretazione evolutiva ed estensiva dell’articolo 11, rispetto agli obblighi internazionali. Aggiungo però che quando l’Italia aderì alla Nato, fu posto lo stesso identico problema, dato che l’articolo 5 del Patto atlantico obbliga a intervenire se uno qualunque dei Paesi aderenti viene attaccato. Tutto questo per dire che c’è stato un lungo tempo in cui era chiarissimo che nessuna guerra fuori dai nostri confini fosse legittima. Poi c’è stato un secondo tempo in cui, grazie anche all’uso delle parole – “missione di pace”, “intervento umanitario” – le cose sono cambiate.Obiettano: visto che la guerra di difesa è legittima, anche la guerra degli ucraini, […]