La relazione della Commissione del Mims, incaricata di verificare la possibilità di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina, ha riaperto un dibattito che sembrava chiuso definitivamente. Ho letto con attenzione il documento, che a mio parere non può costituire una base solida per decidere di affrontare una spesa di oltre 10 miliardi, risorse che potrebbero essere utilizzate in altri modi. La relazione è carente di molte informazioni tecniche e soprattutto socio-economiche. Non è riportata alcuna stima dei costi e così come non c’è alcun rilievo di analisi costi/benefici. Da un punto di vista tecnico però, come professore ordinario di Geomorfologia all’Università di Siena, mi preme rimarcare come la nuova soluzione, che vorrebbe il ponte realizzato a tre campate con due piloni poggianti a circa 90 metri di profondità sul fondale, è sicuramente insostenibile. I motivi sono presto detti: il fondale, a una semplice analisi geomorfologica della carta batimetrica, appare interessato da un complesso di frane di oltre 3 km di larghezza, e lunghezza con spessori che superano il centinaio di metri. Frane che si sviluppano sia verso est sia verso ovest, senza soluzione di continuità. Non esistono, a oggi, soluzioni ingegneristiche in grado di ovviare con certezza a questi movimenti. Si tratta di frane attive, o comunque quiescenti, vale a dire che si possono riattivare in ogni momento. E in un’area sismica tra le più critiche d’Italia. Le frane sono state generate da faglie anch’esse attive, responsabili della genesi del terribile terremoto di Messina del 1908, uno dei più forti del secolo scorso, con circa 7,1 di magnitudo Richter. Quell’evento sismico rase al suolo Reggio Calabria e fece danni immani in tutta l’area, anche per l’attivazione di una onda di maremoto di oltre 7 metri di altezza. Non ci sarebbe dunque alcuna garanzia di sicurezza nel poggiare dei pilastri […]