GAS IN MOZAMBICO Le scoperte di immensi giacimenti realizzate da Eni a partire dal 2010 hanno trasformato il Mozambico, e in particolare la regione settentrionale di Capo Delgado, in una El Dorado del gas. Per le comunità locali, però, lo sviluppo dell’industria estrattiva è stato accompagnato da un vortice di corruzione, povertà e violenza, da cui ne è scaturito un vero e proprio conflitto, che ha già mietuto oltre 2mila vittime. Capo Delgado è oggi uno dei luoghi più instabili al mondo, come dimostrato dall’attacco lanciato lo scorzo marzo dal gruppo armato al-Shabaab contro la città di Palma, sede del mega impianto di gas liquefatto gestito dalla francese Total, la quale ha subito dopo annunciato lo stop alle attività nel paese. L’escalation del conflitto ha cause profonde e tra loro intrecciate, ma gran parte degli analisti riconosce l’espansione dell’industria del gas – con l’annessa espropriazione delle terre, aumento delle disuguaglianze e del malcontento – come uno dei fattori determinanti. Il consorzio di multinazionali a cui fanno capo gli impianti, di cui fa parte anche Eni, ha siglato un accordo con il governo mozambicano che impegna quest’ultimo a schierare l’esercito nazionale a protezione degli asset del gas, nonostante la popolazione locale rimanga alla mercé degli attacchi da parte degli insorti. In un tale contesto, proseguire con le operazioni estrattive rischia di compromettere ancor di più la sicurezza degli abitanti di Capo Delgado. Eppure, in risposta alle nostre domande, Eni fa sapere che, nonostante la società non escluda possibili attacchi dimostrativi nella città di Pemba, non ritiene che il suo progetto Coral South sia a rischio. Ad essere in bilico però è l’altro progetto del Cane a sei zampe nel paese, Rovuma Lng, che ora Eni afferma essere in fase di valutazione “alla luce del mutato contesto internazionale”. In ogni caso, ad […]