Una corsa a perdifiato, tra consigli dei ministri notturni e telefonate non proprio concilianti sull’asse Roma-Bruxelles. Ma il governo ha calato le carte: l’Italia ha il suo Recovery Plan. Il testo attorno cui è stata costruita l’intera operazione di potere che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi sarà illustrato al Parlamento tra oggi (Camera) e domani (Senato). Il coinvolgimento degli eletti in questa fase cruciale consiste in ben due sedute e atrettante votazioni. Non è il massimo, e Fratelli d’Italia ha gioco facile: “Il Recovery Plan italiano è stato inviato all’Unione europea mentre il nostro Parlamento lo voterà al buio. È uno scempio”, attacca la senatrice Isabella Rauti. Ma i tempi della democrazia sono questi: il governo andava di gran fretta, l’obiettivo era rispettare la data fatidica (e mediatica) del 30 aprile, entro la quale bisognava consegnare all’Euorpa i frutti del lavoro draghiano. Missione compiuta, ma la partita politica inizia adesso. Perché il cuore del Recovery Plan non è solo economico - i 191,5 miliardi di euro, più altri 30 del fondo complementare - ma si gioca soprattutto sulle riforme strutturali che Draghi si è impegnato a realizzare con gli zelanti osservatori europei. E su queste si rischia di ballare parecchio, perché gli interventi che devono guarire - nelle intenzioni del premier - le debolezze endemiche dell’economia italiana non sono affatto neutrali: le differenze politiche interne alla multicolore coalizione di governo potrebbero uscire allo scoperto tutte insieme. Prendiamo il capitolo concorrenza: si tornerà a spingere sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali, una questione storicamente divisiva (qualcuno ricorda i referendum sull’acqua?). È difficile immaginare di conciliare sensibilità tanto diverse come quelle dei partiti di governo (e sarà interessante inoltre vedere come saranno gestite le proteste immancabili delle categorie svantaggiate dalle liberalizzazioni). E sulla Giustizia? Le riforme dell’ex ministro Bonafede sono […]