Il Treno Maya della vergogna: 1500 km di rotaie al posto delle foreste

 

Il presidente Obrador la considera il suo fiore all’occhiello, il simbolo del Messico moderno.

La linea che unirà il povero e isolato sud al ricco est, con i suoi siti archeologici, i suoi monumenti aztechi, le spiagge dorate dello Yucatán e di Quitana Roo.

Una ferrovia.

Il Treno Maya (Tren Maya): 1500 chilometri di rotaie che attraverseranno gli Stati del Chiapas, Tabasco, Campeche, fino alla penisola che si affaccia sul Golfo e i Caraibi.

Un’opera imponente, tra i 6 e i 7 miliardi di dollari di spesa, da realizzare in tempi rapidissimi, per sfatare miti e leggende e dimostrare che anche i messicani possono essere efficienti.

L’annuncio venne dato in grande stile all’inizio dell’anno ma i lavori di sbancamento sono iniziati solo dopo quattro mesi.

L’opera era avvolta da molte leggende e misteri.

Aveva una sua forza elettorale e di consenso.

Poi, quando il progetto è stato reso noto nei dettagli sono uscite le prime magagne.

Gli appalti sono stati concessi a trattativa privata.

Ad alcune aziende statali ma anche alle grandi holding, come il Gruppo Carso, del magnate Carlos Slim: un modo di compensare le perdite dopo il clamoroso annullamento dei lavori per la costruzione del più grande aeroporto del Continente a Città del Messico.

Si è scoperto che mancano anche molte autorizzazioni e soprattutto pareri sull’impatto ambientale.

I terreni da scavare, le montagne di terra da rimuovere, le foreste e il verde da tagliare cambiano l’assetto morfologico, spezzano equilibri non solo umani ma ambientali.

Intere comunità hanno iniziato a chiedersi quanto e in che modo la nuova linea ferroviaria cambierà la loro vita.

Hanno sollecitato il governo con richieste di informazioni, confronti, notizie.

Di fronte a risposte evasive e spesso il silenzio, si sono mobilitate sostenute da tribù indigene e attivisti ambientali.

Quello dedicato alla grande etnia che ha dominato l’antico Impero azteco, osserva El Paìs, sarà molto più di un treno passeggeri.

Si stima che il 70% delle entrate arriveranno dalle merci, buona parte dei combustibili (per rifornire i sei gasdotti del Sud-est del paese) e prodotti della crescente agroindustria della regione, come la soia e gli allevamenti di maiale.

Sono previsti inoltre dei “poli di sviluppo” attorno alle 19 stazioni del treno in quelli che “solleciteranno il riordino urbanistico” e includeranno “servizi e infrastrutture”.

Per la gente coinvolta in questa grande trasformazione si pongono problemi più concreti e immediati.

Come l’acqua, ormai un bene che vale come l’oro e che condiziona il ciclo delle coltivazioni, i terreni, il tipo di semine e di piante.

Oltre naturalmente i bisogni quotidiani, come bere e lavarsi.

Da dove tirarla fuori per soddisfare le necessità dei “nuovi poli urbani” che sorgeranno ai lati della ferrovia, quando le zone di passaggio sono aride bagnate da pochissima pioggia?

La poca che c’è è dirottata verso i centri turistici nati attorno ai siti archeologici più famosi al mondo.

Serve agli alberghi, ai resort con le loro piscine e le esigenze degli ospiti.

Senza considerare che le rotaie solcheranno alcune tra le più ammirate riserve naturali dove vivono 280 specie di uccelli e 50 di rettili.

Non vogliamo trasformarci in una nuova Cancún che già si è presa tutto il cibo che produciamo lasciandoci solo nuda foresta”, denuncia Geno, il leader così chiamato dai 15 membri del Consiglio Regionale Indigeno e Popolare di Xpujil che hanno fato ricorso alla giustizia opponendosi al progetto.

Secondo loro il piano del treno Maya colpisce il diritto all’ambiente pulito sancito dall’articolo 4 della Costituzione.

Quando il presidente Obrador diede il via ai lavori nel giugno scorso il ministero dell’Ambiente non aveva ancora fornito il suo parere sull’impatto ambientale.

Cosa che non è avvenuta fino a qualche giorno fa.

La Mia, l’Ente che sovrintende al tema, si è limitata a dividere l’opera in diversi lotti senza affrontare le possibili conseguenze sul territorio del progetto nel suo complesso.

Lo studio dell’impatto prevede la deforestazione di 80 ettari di verde, qualcosa come 1.120 campi di calcio.

E questo solo nella prima fase dei lavori.

Il rapporto spiega anche che il taglio sarà compensato con un programma di riforestazione e di ripopolamento delle specie destinate a soccombere o fuggire.

Per noi”, obiettano le tribù indigene e le associazioni contadine, “non conta tanto il valore economico ma la natura della nostra terra.

Ogni cosa ha un suo significato ancentrale, legato alle divinità.

La palma non è un albero che si abbatte e ricresce.

 Simbolizza i tre piani dell’universo: ha una sua vita e un suo spirito”.

Indigeni e contadini sono decisi a dare battaglia.

Per il momento sul piano legale.

I tribunali hanno respinto per due volte i loro ricorsi.

Ma un terzo è stato mandato alla Corte Suprema per un parere.

Se anche questa sarà negativa lo scontro si trasferirà lungo la ferrovia.

(Articolo di Daniele Mastrogiacomo, pubblicato con questo titolo il 18 dicembre 2020 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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