CITTÀ DEL MESSICO – “Da oggi si cambia. Basta con mais e fagioli, limoni e arance. D’ora in poi solo aguacates!“. Piegati sul terreno e allungati verso gli alberi carichi di frutta, i contadini restarono in silenzio. L’uomo che imbracciava l’Ak-47, il cuervo de chivo, l’arma più amata dai narcos, non ammetteva repliche. Era venuto il momento tanto atteso. Di lì a sei mesi gli interi Stati Uniti avrebbero smesso di lavorare, si sarebbero riversati nelle loro case, avrebbero esteso gli inviti a amici e parenti, le stanze si sarebbero trasformate in sale multischermo per assistere al Super Bowl, l’avvenimento sportivo più sentito per decine di milioni di americani. In patria e all’estero. La finale del football made in Usa, quella che assegna il titolo dei Campioni. Ma più a sud, a duemila chilometri di distanza, nello Stato messicano di Michoacán, scattava la stessa dose di adrenalina, con in ballo montagne di quattrini. Sono gli effetti della globalizzazione. Seduti davanti alle tv milioni di americani avrebbero ingurgitato fiumi di birra, divorato montagne di nachos insieme alla salsa di guacamole: la crema ricavata dall’impasto di aglio, lime, olio, angostura, sale, pepe, un pizzico di peperoncino e l’onnipresente aguacate, noto in tutto il mondo come ”avocado”. Ed è proprio lui, questo frutto dalla polpa verde, ipercalorico ma ottimo antiossidante, eletto dai Millennials come “super alimento”, a trasformare l’economia di un intero Stato del Messico. Si stima che il paese nordamericano produca e controlli il 60% del mercato mondiale. Grazie alla pioggia abbondante, un sole generoso e una terra ricca di minerali di origine vulcanica, l’avocado da almeno dieci anni ha attirato l’attenzione dei cartelli pronti a diversificare la montagna di quattrini che ricavano dal traffico di droga, di armi e di esseri umani. Così, da terra baciata dalla natura – ma comunque dura da […]