Per superare la crisi economica dovuta alla pandemia, i governi europei hanno proposto e varato numerose politiche di sostegno alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese al fine di stimolare la ripresa ed evitare ulteriori aumenti delle disuguaglianze. Ma negli ultimi mesi sono emerse anche proposte alternative più sistematiche, che partendo dalla società civile hanno guadagnato sempre più attenzione tra i cittadini e i media. Tra queste, senza dubbio una delle proposte più discusse è quella della riduzione del tempo di lavoro. Una bandiera storica dei sindacati e dei lavoratori, principali promotori della riduzione delle settimane lavorative da quasi 60 nel 1900 alle attuali 40 ore settimanali. Negli ultimi due decenni i ricercatori, in particolare nelle scienze sociali, hanno indagato la possibilità che giornate lavorative più brevi possano portare a una riduzione delle emissioni di gas serra. I due effetti che spiegano questa relazione tra emissioni e ore di lavoro vengono chiamati effetto di scala e di composizione. Il primo consegue a una riduzione dei consumi e quindi della produzione di beni e servizi una volta che, lavorando meno ore, vengono ridotti anche i redditi individuali del lavoro. Il secondo deriva dal fatto che la maggiore disponibilità di tempo libero permette ai cittadini di adottare abitudini meno intensive in termini di energia come, per esempio, un maggiore utilizzo dei mezzi pubblici o biciclette, acquisti di alimenti non industrializzati, le riparazioni, il riuso. Questi benefici ambientali si sommano ai benefici economici e sociali di una riduzione nelle ore di lavoro: l’aumento dell’occupazione, la riduzione della disuguaglianza e il miglioramento della qualità della vita. Anche nel caso in cui i lavoratori occupati subissero una riduzione nel reddito mensile del lavoro, l’assunzione di nuovi individui, prima disoccupati o fuori dal mercato del lavoro, tenderebbe comunque a migliorare la distribuzione del reddito e […]