In attesa che nella scuola italiana la meditazione diventi materia consueta – basterebbe una lezione a settimana, dalla prima elementare al liceo – una delle azioni che gli italiani potrebbero introdurre nella propria vita ordinaria è il cammino in foresta. Negli ultimi anni la natura è ritornata a parlare agli umani. Precipitate le ideologie sono rimaste la religiosità, non di rado sostituita dalla più radicante spiritualità, e la natura. Finalmente abbiamo interiorizzato il mantra che gli ecosofi hanno ripetuto per decenni: la natura non è soltanto uno sfondo teatrale che ci accompagna, il nostro stesso corpo, come diceva Raimond Panikkar è il proseguimento della nostra pelle. Dopo mesi di pandemia, di reclusione e timore del prossimo, di crescente preoccupazione nei riguardi del futuro, ricominciamo a uscire, a vederci, a mischiarci, ad architettare il futuro, sebbene la malattia non sia alle spalle. Proprio in questi giorni ho accompagnato il primo gruppo di camminatori fra i boschi del Gran Paradiso, per respirare, ascoltare e meditare. L’Italia è ricoperta per un terzo di boschi e aree boscate, ospita parchi nazionali, regionali, provinciali o naturali, oasi Lipu e WWF, beni sotto gestione FAI e riserve di proprietà privata. Come poter far fruttare i mesi che abbiamo di fronte senza limitarci a fare i turisti della domenica che migrano dalle città ai monti con le nostre rombanti automobili? Una possibilità ci viene dall’antica arte della meditazione. Che si adottino tecniche, pratiche, consuetudini della contemplazione cristiana, o tecniche, pratiche e consuetudini delle diverse forme di spiritualità orientale è questione metodologica, che dipende da occasione, gusto e interessi. Quel terzo del nostro paese fatto d’alberi, di ruscelli, di montagne e forre, di fughe di animali selvatici, quel continente boscoso di cui ho scritto tanto, ci attende per accoglierci come una madre premurosa e rassicurante. Personalmente ho […]