Lo studio “The rotten apples of Brazil’s agribusiness”, pubblicat su Science da un team internazionale di ricercatori guidato da Raoni Rajão e Britaldo Soares-Filho dell’Universidade Federal de Minas Gerais (UFMG) rivela che, se volessero vietare le esportazioni della produzione agricola coinvolta nella deforestazione illegale, il governo del Brasile, i suoi partner del Mercosur e l’Unione europea avrebbero già sul tavolo delle discussioni dati concreti in vista delle restrizioni degli acquisti della produzione agricola contaminato dalla deforestazione illegale.
Infatti, lo studio, al quale hanno partecipato anche – Universität Bonn, Escola Superior de Conservação Ambiental e Sustentabilidade (Escas/Ipê), Stockholm Environmental Institute (Suécia) e università del Wisconsin – identifica per la prima volta le grandi compagnie agricole che, tra il 2008 e il 2018, hanno deforestato illegalmente per espandere piantagioni e pascoli e dimostra che almeno circa il 20% delle esportazioni del Brasile «sono potenzialmente legate alla deforestazione fuori legge.»
I ricercatori hanno sviluppato software ad alte prestazioni per analizzare 815.000 singole proprietà rurali e Rajão, checoordina il Laboratório de Gestão de Serviços Ambientais del do ao Departamento de Engenharia de Produção e collabora col Centro de Sensoriamento Remoto (CSR) dell’Instituto de Geociências dell’UFMG, spiega che «c’è stato un dibattito intenso tra ricercatori e società civile, da un lato, e produttori, dall’altro.
Ma non c’erano abbastanza dati per supportarlo.
Ora la produzione agricola brasiliana senza deforestazione è disponibile per i leader politici e l’agroindustria.
Diventa possibile monitorare la catena di approvvigionamento e distinguere tra deforestazione legale e illegale.
L’Ue e il Mercosur stanno conducendo negoziati per la ratifica di un accordo commerciale.
Il blocco europeo segue politiche che vietano l’importazione di materie prime da aree disboscate illegalmente».
Secondo lo studio, «un quinto delle 53.000 aziende che producono soia in Amazzonia e nel Cerrado l’hanno coltivata su terreni deforestati dopo il 2008, ignorando le regole, cioè illegalmente – le azioni precedenti sono state condonate – e la stima è che la metà di quella soia sia stata prodotta su terreni deforestati recentemente in modo irregolare».
I ricercatori hanno concluso che «circa 2 milioni di tonnellate di soia contaminata potrebbero essere state destinate ai mercati dell’Unione europea nel periodo coperto dallo studio.
Il blocco europeo acquista dal Brasile il 41% (13,6 milioni di tonnellate) di tutta la soia che importa e quasi il 70% di quel volume proviene dalle regioni dell’Amazzonia e di Cerrado».
L’UE importa dal Brasile anche quasi 190.000 tonnellate di carne bovina all’anno.
Il team internazionale di ricercatori hanno scoperto che «almeno uno su otto dei 4,1 milioni di capi venduti nei macelli ogni anno proviene direttamente da proprietà che potrebbero essere state deforestate violando la legge.
Questo rappresenta il 2% della carne prodotta in Amazzonia e il 13% della produzione del Cerrado».
Ma lo studio avverte che «è necessario monitorare anche i fornitori indiretti di bestiame e questo non viene fatto dai grandi macelli, né dal governo».
Dai calcoli effettuati dai ricercatori, che hanno riguardato le varie fasi del processo, è venuta fuori che «circa il 60% dei capi macellati sono stati potenzialmente contaminati dalla deforestazione ad un certo punto della catena produttiva».
Lo studio ha incrociato i dati sull’utilizzo e la copertura del suolo ottenuti da diverse fonti, come il Cadastro Ambiental Rural (CAR) che riunisce 6 milioni di proprietà individuali e le immagini dell’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (Inpe) e del pogetto MapBiomas.
Le immagini satellitari sono modellizzate e analizzate da Soares-Filho integrando le informazioni relative alle proprietà e calcoli basati su parametri definiti dalle regole di utilizzo del suolo, determinando così se la produzione è contaminata da deforestazione o meno.
Le proprietà sono state quindi collegate alle catene produttiva e, nel caso dei semi di soia, è stato possibile misurarne la capacità produttiva.
Per i bovini, il processo è più complesso e richiede un’analisi dell’intera rete.
Rajão spiega ancora che «le mandrie alla nascita sono molto lontane dal macello.
Siamo stati in grado di determinare lo spostamento da una fattoria all’altra.
Lo studio ha tracciato la traiettoria internazionale della vendita di merci, cosa che è stata effettuata attraverso la piattaforma Trase, sviluppata dallo Stockholm Environmental Institute svedese.
Il lavoro non sarebbe stato possibile se non fosse stato per la qualità dei dati disponibili in Brasile.
Abbiamo sistemi molto affidabili ed eccellenti.
Anche i Paesi più ricchi non hanno strutture così avanzate.
E il nostro studio va a integrare questi lavoro».
Gli autori ricordano che «l’Unione europea occupa una posizione di leadership globale in termini di sforzi per garantire le importazioni di prodotti che non beneficiano della deforestazione, che è un agente di distruzione delle foreste tropicali.
Le iniziative a tal fine fanno parte dell’Europea Green Deal, insieme, tra l’altro, a una politica alimentare che mira a ridurre le distanze per il trasporto di animali e prodotti agricoli.
Questa preoccupazione è la base degli sforzi perché il blocco riduca le importazioni di soia dal Brasile».
Per Soares-Filho «le foreste del Brasile sono al punto di rottura, minacciate da una politica che incoraggia il loro abbattimento, principalmente per l’accaparramento delle terre.
E’ essenziale che l’Europa utilizzi il suo potere commerciale e di acquisto per contribuire a invertire lo smantellamento della protezione ambientale in Brasile.
Bruxelles ha finalmente le informazioni necessarie sull’entità del problema legato alla soia e alla carne bovina».
Rajão conclude: «Possiamo avere un’agricoltura fiorente e, allo stesso tempo, proteggere le nostre foreste ed essere davvero impegnati nella lotta ai cambiamenti climatici».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 20 luglio 2020 sul sito on line “greenreport.it”)