Blitz di Legambiente davanti ai cancelli della centrale Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia (Roma), inaugurata nel luglio 2008 e l’ultima a carbone rimasta in Italia.
In occasione della tappa laziale della Goletta Verde 2020, gli attivisti e le attiviste del Cigno verde hanno esposto due striscioni con le scritte “Fermiamo la febbre del pianeta” e “nemico del clima”.
Secondo dati dell’Unione europea, Torrevaldaliga Nord, è al primo posto assoluto tra gli impianti italiani per emissioni, nel 2018 ha prodotto i 8,1 milioni di tonnellate di CO2 ed è tra le 30 aziende che emettono più gas serra nel Continente.
22 sono impianti termoelettrici e tra questi, la centrale di Torrevaldaliga Nord, oltre ad essere prima in assoluto per l’Italia e al 14esimo posto tra le aziende con maggiori emissioni climalteranti in Europa.
Nel Lazio, secondo il registro europeo delle emissioni E-PRTR, su 11.409.000 di tonnellate di CO2 derivante da 9 impianti di produzione energetica da fonti fossili, il 78% provengono dalla Centrale Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia, l’11,2% del totale nazionale
Anche se il gas fossile emette fino al 70% in meno di gas serra del carbone Legambiente Lazio chiede anche che con la dismissione della centrale, prevista entro il 2025, non si dia vita a una nuova centrale a gas: «La centrale a carbone di Civitavecchia è il nemico del clima numero uno nel Lazio – ha spiegato Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio – per l’inquinamento che provoca nel suo territorio e per l’enorme portata delle emissioni climalteranti che scatena.
Torrevaldaliga va spenta e convertita in polo delle rinnovabili, con torri eoliche, fotovoltaico e sistemi di accumuli in grado di rispondere alle esigenze di produzione, ma anche di sicurezza e flessibiità della rete. Non nell’ennesima centrale a gas».
Secondo il Cigno Verde, è «inaccettabile che di fronte all’emergenza climatica il Governo continui a puntare su una fonte fossile, in sostituzione di un’altra fonte fossile. Prevedendo attraverso il Capacity Market il ricorso, per i prossimi 20 anni, a risorse pubbliche che andranno ad incrementare i 19 miliardi di euro di sussidi alle fonte fossili che lo Stato italiano già elargisce al settore Oil&Gas. ».
Per questo, Legambiente rivolge un appello a Governo ed Enel, chiedendo di «abbandonare l’ipotesi di riconversione a gas dell’impianto a nord di Roma» e Scacchi evidenzia che «la riconversione ecologica della Centrale di Civitavecchia non può che passare da un polo a fonti rinnovabili, fatto dall’insieme di eolico, solare fotovoltaico e sistemi di accumulo, in grado di rispondere alle esigenze energetiche del Paese ma anche di dare una nuova opportunità di sviluppo al territorio, così come sta avvenendo in molti altri Paesi europei e americani».
Inoltre, il Cigno Verde richiama i dati Terna, che «dimostrano ampiamente come per affrontare questa fase di transizione non sia assolutamente necessaria la realizzazione di nuove centrali a gas, rese economicamente vantaggiose dal nuovo sussidio del Capacity Market.
Basterebbe infatti fa lavorare le centrali esistenti qualche ora l’anno, passando da 3.200 ore medie l’anno a 4.000 coprendo abbondantemente tutte le necessità energetiche.
In una visione d’insieme, tutto questo non implica la costruzione di nuove centrali a gas.
La centrale a carbone, per poco più di un decennio, ha emesso la stragrande maggioranza delle emissioni nel Lazio, devastando qualità dell’aria e salubrità nel territorio dove è sorta: la sua accensione è stato un gravissimo errore, oggi convertirla a centrale a gas significherebbe perpetrare quell’errore, condannando l’area ad ospitare la produzione energetica da fonti fossili per tanti lustri ancora».
Scacchi continua: «Ci rivolgiamo anche alla Regione Lazio perché si faccia di tutto per un Lazio Fossil Free, cominciando con il fermare il possibile epilogo di Civitavecchia con un maxi impianto a gas invece di un maxi impianto a carbone.
La febbre del pianeta impone di accelerare senza sosta nell’abbattimento delle emissioni, farlo è un dovere assoluto di ciascuno, sarebbe imperdonabile perdere l’opportunità di trasformare in un’eccellenza delle rinnovabili, il nemico del clima numero uno del Lazio».
Secondo Legambiente «la Regione Lazio, dovrebbe scrivere e sottoscrivere, nel suo Piano Energia, l’assoluta necessità di un polo energetico sostenibile, ma anche fare ricorso ad un piano di sviluppo delle rinnovabili che tenga conto delle nuove frontiere su comunità energetiche e autoconsumo collettivo, individuando aree idonee allo sviluppo del fotovoltaico tra aree marginali e dismesse e anche integrato con l’agricoltura, così come puntare su piani di efficienza energetica spingendo riqualificazioni edilizie almeno in classe B, approfittando anche del super bonus del 110% e sulla mobilità sostenibile.
Cosi facendo si potrebbe mirare a trasformare la regione in un modello innovativo, in grado di valorizzare i territori, le loro economie locali, creando nuovi posti di lavoro.
Non sottovalutando inoltre il ruolo del gas verde, ovvero dell’idrogeno, che potrebbe portare tutto il territorio ad una vera e propria rivoluzione che coinvolgerebbe l’intera città di Civitavecchia, il settore della mobilità, l’occupazione industriale, il porto, la valorizzazione del paesaggio e il turismo di prossimità oltre al tema della salubrità dell’aria».
Legambiente è comunque convinta che ormai il gas abbia esaurito il suo ruolo di “ponte” dalle energie fossili a quelle rinnovabili e che il metano non aiuta il clima: «Per questo l’emergenza climatica in corso e il poco tempo che l’umanità ha a disposizione deve obbligare tutti a compiere ragionamenti lungimiranti e concreti, che portino a cambiamenti reali in tempi ragionevoli e contribuiscono alla salvaguardia del Paese e del pianeta».
(Articolo pubblicato con questo titolo il 13 luglio 2020 sul sito online “greenreport.it”)