Intervista. Lo scienziato e narratore Stefano Mancuso riflette sulle piante viaggiatrici che per sopravvivere spediscono lontano il seme. «Dalle loro capacità gli umani hanno imparato ben poco» La conversazione con lo scienziato narratore Stefano Mancuso prende le mosse quasi per caso dalle piante amanti degli scogli, schive ma fortissime, pioniere tenaci, esempio fulgido di resistenza, e il discorso finisce inevitabilmente su ecologia ed economia: parole che hanno casa nel loro etimo e si legano a doppio filo al concetto della nostra dimora (in fiamme, come suggerito dalla ragazza dei Friday for future), pianeta che abitiamo come i più molesti tra i condomini, per giunti arrivati buon ultimi dopo muffe, plancton, felci, sequoie e quadrupedi, in virtù di un incommensurabile colpo di fortuna. È Primo Levi ad osservare nel Sistema Periodico che «se l’organicazione del carbonio non si svolgesse quotidianamente intorno a noi… dovunque affiori il verde di una foglia, le spetterebbe di pieno diritto il nome di miracolo». Ci sono piante che nascono per viaggiare, munite di seme impermeabile. La natura sa cosa dovranno passare e le dota di un salvagente da subito… Succede alle piante alofite, che vivono utilizzando l’acqua del mare che, anche in quantità minima, è di norma tossica per la vita vegetale. Queste piante sono preziose, cruciali per la messa a punto alla soluzione di un problema fondamentale: la questione dell’acqua dolce che rappresenta il 3% della riserva idrica terrestre, una quantità piccolissima oltretutto in parte bloccata ai poli (che sciogliendosi la riverseranno in mare), in parte situata in tale profondità da non essere servibile. E dire che l’acqua dolce è l’unica che si utilizza in industria e in agricoltura. Sul mappamondo si può tracciare una linea della siccità che tocca territori in cui cadono meno di 100 ml di acqua all’anno: è verificato che nell’area […]