Evasio Pasini
membro del Consiglio Nazionale di VAS
A distanza di due mesi dalla diffusione in Italia dell’epidemia ex Covid – 19, è tempo di una prima analisi, in vista del redde rationem che presto arriverà.
La Lombardia è stata la regione più colpita.
Il suo sistema sanitario, considerato un’eccellenza mondiale quando l’intervento medico è pianificato, ha mostrato, invece, seri limiti in condizioni di emergenza.
Occorre, pertanto, individuare le criticità riscontrate, per evitare il ripetersi di risposte approssimative.
Innanzitutto, è mancata l’attività di igiene pubblica, che richiede l’esecuzione dei tamponi, al fine di separare gli infetti dai sani.
La scienza medica più accreditata a livello internazionale (Lancet 2020) ha dimostrato che, dal momento del contagio ai primi sintomi, intercorrono anche sei giorni e, in alcuni casi, i contagianti sono asintomatici, cagionando, in questo periodo, l’ovvia estensione del contagio, se liberi di muoversi.
È, pertanto, necessario eseguire subito il maggior numero di tamponi, per identificare i contagiati ed evitare il loro contatto con individui sani.
Il costo di un’apparecchiatura medica idonea ad eseguire circa 1500 tamponi al giorno non supera i quarantamila euro e, quindi, ampiamente sostenibile dal sistema sanitario.
Nella prima fase, si deve procedere con l’immediata chiusura delle aree a rischio e la consegna di protezioni individuali adeguate, con chiare e precise indicazioni ai medici e al personale sanitario sulla gestione dei pazienti.
L’incertezza verificatasi in proposito ha determinato l’ulteriore diffusione della malattia, la morte di numerosi operatori sanitari, nonché l’involontaria estensione del contagio attraverso le strutture ospedaliere, specie nelle prime fasi.
Altro elemento importante, di notevole valenza politico – emotiva, è la raccolta e l’interpretazione dei dati.
Molti errori sono stati commessi sull’esatta diffusione dell’epidemia, poiché i tamponi sono stati eseguiti solo ai pazienti ricoverati o deceduti negli ospedali.
I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità è stata, quindi, calcolata sui pazienti ricoverati e positivi al virus e non sulla popolazione infettata, come avrebbe imposto uno studio epidemiologico serio.
In attesa di una cura efficace, vale ancora il metodo usato nei secoli passati.
A tal proposito, è interessante richiamare il “Del pestifero & contagioso morbo” del 1576, di Giovanni Filippo Ingrassia, importante medico palermitano dell’epoca.
La peste, secondo l’autore, doveva essere combattuta con “oro, fuoco e forca”.
L’”oro” indicava le ingenti quantità di denaro richieste per sostenere il blocco delle attività produttive.
Il “fuoco” serviva a bruciare e igienizzare i beni di proprietà dei contagiati, che erano considerati “pestilenziali”, ossia possibile fonte di contagio.
Infine, la “forca” esprimeva la severa punizione di chiunque trasgredisse le disposizioni di isolamento.
Si tratta di concetti che valgono in nuce ancora oggi: per far fronte all’emergenza pandemia, occorrono, infatti, sostegni economici alle imprese, sanificazione dei luoghi e delle strutture e vigilanza rigorosa sul rispetto delle disposizioni sanitarie impartite, identificando e tenendo separati i sani dai contagianti o contagiati.
Come si vede, la storia è magistra vitae, spesso inascoltata.
Daniele Granara, Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “Carlo Bo” di Urbino
Evasio Pasini, già Docente di Cardiologia all’Università di Brescia e di Organizzazione Sanitaria all’Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia
4 maggio 2020