No, non avrei mai immaginato che un giorno avrei finito per stabilire una connessione fra un virus e il 25 aprile. E invece ci sta capitando a tutti. Dipende dalla parola «resistenza»: anche per sconfiggere il coronavirus bisogna resistere, a lungo,tutti insieme, senza farsi travolgere dall’angoscia. E però quella parola «resistenza» non spiega la Resistenza con la R maiuscola, non l’ha mai spiegata compiutamente, anche se oramai, dopo 75 anni, abbiamo finito per non badarci più. Perché diamo per scontato che tutti sappiano che quell’espressione racchiude molto di più: con la Resistenza non ci si limitò infatti a respingere un nemico, ma si lanciò una offensiva così azzardata che oggi a raccontarla ai nipotini sembra il romanzo fantascientifico di una impresa di Superman. Tornate a pensarci: una quantità di ragazzi nell’età della leva, che avevano conosciuto solo il fascismo, abbandonano, rischiando la fucilazione per diserzione, i reggimenti dove erano stati inquadrati o le case dove erano riusciti a nascondersi, per andare in montagna, male armati e senza alcuna autorità che potesse legittimare la loro azione se non quella di pochi anziani appena usciti di galera o dall’esilio – degli sconosciuti antifascisti – e senza sapere cosa avrebbero trovato, o loro stessi costruito, nell’ipotesi vaghissima di una vittoria. Un assalto al cielo, assai diverso da quanto si trovarono a fare in quasi tutti gli altri paesi europei i partigiani che combatterono per ripristinare un potere legittimo, il proprio stato democratico spodestato dall’usurpatore, e dunque a questo fedeli; e da questo «coperti». Da noi no, questa copertura non c’era, e perciò non si trattava di «resistere» ma della sconsiderata ambizione di dar vita a qualcosa che non si sapeva cosa avrebbe potuto essere. Si dirà che al virus invece si deve solo resistere, in nome del ritorno al modo di vita […]