Va avanti da solo, a testa bassa, contro le autorità sanitarie, gli altri poteri dello stato, i governatori, l’opinione pubblica e la comunità internazionale, persino contro il suo stesso vice, quel generale Mourão che dà sempre più l’impressione di attendere paziente la sua caduta. Bolsonaro va fermato, è il grido che si alza un po’ ovunque. L’ULTIMA SUA MOSSA è stata il lancio di una campagna, finanziata con denaro pubblico, destinata a condannare a morte chissà quante persone, con lo slogan “O Brasil não pode parar“, il Brasile non può fermarsi, così simile a quel «Milano non si ferma» delle cui conseguenze Bolsonaro non ha fatto tesoro. È che il presidente non vuole saperne di isolamento sociale e di blocco delle attività non essenziali: a casa restino gli anziani, gli altri vadano a lavorare e chi non lo fa è un codardo. «Alcuni moriranno, mi dispiace, è la vita», ha affermato venerdì in un’intervista, spiegando che «non si può chiudere una fabbrica di automobili perché vi sono vittime di incidenti stradali». Per il 90% dei brasiliani si tratterà al massimo solo di un’«influenzetta», ha proseguito, dichiarando di non credere neppure al numero di morti (58) registrati a São Paulo. Con circa 3.500 casi accertati e 93 vittime, il Brasile è il paese più colpito dell’America latina, ma i dati ufficiali rappresentano solo la punta dell’iceberg. Fino alla settimana scorsa, da quel 26 febbraio in cui il paese ha registrato il primo caso di positività al Covid-19, erano stati realizzati, secondo The Intercept, 46mila tamponi, solo 10mila in più di quelli fatti in Italia nella sola giornata di venerdì. Secondo le autorità dell’ospedale Albert Einstein, lo stesso in cui il presidente si era sottoposto al suo controverso test, per ogni caso comprovato ve ne sarebbero 15 sommersi. E mentre venerdì venivano […]