Mentre l’occidente industrializzato continua a pensare egoisticamente l’Amazzonia come polmone verde del mondo e al prezioso ossigeno prodotto dall’ecosistema della foresta pluviale, al pericolo per il riscaldamento globale, gli incendi in Brasile stanno minacciando natura e diritti dei popoli che vivono nelle loro terre ancestrali. Le fiamme che stanno devastando intere aree mettono a rischio anche la vita di uccelli, anfibi, rettili e mammiferi, già diminuiti del 53% dal 1970 al 2014. Una catastrofe naturale di proporzioni gigantesche che ha distrutto 25 kmq di foresta con la scomparsa di numerose specie vegetali e la morte di numerosi animali, e ora rischiano l’estinzione specie come l’armadillo gigante, l’aquila coronata e il tinamo grigio, e molte altre, e con loro i nativi. Tra i più minacciati infatti, ci sono gli ultimi sopravvissuti di popoli che vivono isolati, costantemente in fuga ed estremamente vulnerabili rispetto alle malattie importate dall’esterno, che solo in Brasile sono oltre 100. Tra questi gli Awà che vivono nella regione di Arariboia, a Lagoa Comprida, protetti dai Guardiani Guajajara, che pattugliano disarmando i disboscatori illegali. Quando andai a intervistarli nel novembre dello scorso anno, incontrai molti di loro nei villaggi nei dintorni di Amarante. Fino al 2000 ad Arariboia era stato disboscato quasi interamente, i due terzi si calcola, «ma grazie al lavoro dei guardiani c’è stato uno stop» mi raccontò fiero Auro, uno di loro, «dopo 18 anni siamo riusciti a riconquistare una buona parte dell’area perduta, e questo soprattutto per proteggere il popolo incontattato degli Awà, che vive nel cuore della selva». Quel giorno si votava, e Bolsonaro avrebbe vinto le elezioni, ma il loro portavoce Olimpio, sul quale pendeva una taglia di 20 mila reais offerta dai taglialegna, mi disse profeticamente: «Noi dobbiamo unirci e contrastare il male che farà ai brasiliani, non abbiamo paura, resistiamo da […]