Giappone, dopo 30 anni si riapre la controversa caccia alle balene

 

TOKYO. Cinque navi, con gli arpioni nascosti sotto i teloni, hanno lasciato il porto di Kushiro nel nord del Giappone per andare a caccia di balene.

Non più a scopo scientifico, come hanno sempre sostenuto i giapponesi negli ultimi 30 anni, ma a scopo commerciale.

Nello stesso momento sono partite tre baleniere da Shimonoseki nel sud-ovest dell’arcipelago.

Queste imbarcazioni potranno uccidere fino a 227 balene fino alla fine di dicembre, così come stabilito dal ministero dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca, e annunciato solo sabato sera, a chiusura del vertice del G20 di Osaka.

Nella quota sono comprese 52 balene Minke, 150 balenottere di Bryde (detta anche di Eden) e 25 balenottere boreali.

Erano 31 anni che il Giappone non cacciava per scopi commerciali.

Il ministro della Pesca, Takamori Yoshikawa, ha dichiarato: “Da oggi chiedo ai cacciatori di cacciare le balene in osservanza della quota e puntare a un ritorno di questa industria della caccia alla balena“.

Nonostante gli anni di interruzione, il Giappone aveva comunque continuato a praticare la caccia alle balene per scopi scientifici, una scelta che aveva suscitato polemiche internazionali da parte degli ambientalisti.

Alla fine dello scorso anno il Giappone ha annunciato la scelta impopolare di lasciare la Commissione internazionale della caccia alle balene, Iwc, frustrato dal fatto di non essere riuscito a convincere i membri della Commissione che una caccia “etica”, se controllata, era possibile.

Durante la spedizione finale “scientifica” nell’Antartico, conclusasi a marzo, i cacciatori di balene giapponesi hanno ucciso 333 balene Minke.

E negli anni passati hanno massacrato quasi mille balene all’anno scontrandosi più volte in alto mare con le navi di Sea Shephered.

Gli ambientalisti del gruppo conservazionista a difesa dei Mari raggiunsero una grande vittoria nel 2014, quando il Giappone venne portato davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja da Australia e Nuova Zelanda.

I due presentarono un ricorso alla Corte sostenendo che il Paese nipponico aveva violato la Convenzione internazionale sulla regolamentazione della caccia alle balene e anche altre disposizioni internazionali come quella di tutelare l’ambiente marino.

La Corte internazionale confermò l’assenza di fini scientifici nei permessi accordati dalle autorità nazionali, confermando quindi la violazione della Convenzione.

Emerse che il Giappone aveva nascosto i suoi fini commerciali dietro la ricerca scientifica per avvalersi della deroga prevista nella Convenzione.

Nonostante le speranze del business delle pescherie che tale ripresa possa spingere i giapponesi a un maggiore consumo di carne di balena, i numeri sembrerebbero contraddirli.

Negli anni ’60 se ne consumavano circa 200.000 tonnellate all’anno, ma negli ultimi anni si è scesi a meno di 5.000 tonnellate, secondo i dati del governo.

Secondo le indicazioni fornite a dicembre scorso dal portavoce del governo, Yoshihide Suga, la caccia alle balene sarà permessa solo nelle acque territoriali e nella zona economica esclusiva del Giappone, mentre sarà vietata nelle acque dell’Antartide e nell’emisfero australe.

 

(Articolo pubblicato con questo titolo il 1 luglio 2019 sul sito online del quotidiano “la Repubblica”)

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