Giornata Mondiale dell’Ambiente, ecco l’impietosa classifica dell’Onu senza i primi tre posti

 

Chi annuncia lo stato di “emergenza climatica” e chi non crede ancora al cambiamento climatico.

Chi punta tutto sulle rinnovabili e chi ha dichiarato guerra alla plastica monouso: nel mondo ogni Paese deve fare i conti con inquinamento, riscaldamento globale e conseguenze dei cambiamenti climatici.

Per tenere alta l’attenzione, è stata istituita dalle Nazioni Unite la Giornata Mondiale dell’Ambiente, che si celebra oggi.

Gli obiettivi dell’Unione Europea sono elencati nel quadro per il clima e l’energia 2030, che prevede una riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra entro 11 anni.

Che poi i singoli Stati ci riescano, è tutto da vedere.

Gli sforzi concreti degli Stati nel contrastare il riscaldamento globale vengono valutati dal Climate Change Performance Index una classifica annuale che monitora le politiche ambientali di 57 paesi Paesi in base agli Accordi di Parigi, presentata al summit globale sul cambiamento climatico in Polonia (COP24). 

Quest’anno non sono stati assegnati i primi tre posti in graduatoria: non c’è quindi uno Stato al mondo, secondo questo report, che adotti pienamente le strategie per combattere in modo efficace il riscaldamento globale

è al 23esimo posto, mentre gli Stati Uniti precipitano alla 59esima posizione (su 60 in considerazione che i primi tre posti non sono stati assegnati, ndr) per le politiche di deregulation ambientale volute da Trump.

Ecco cosa stanno facendo i singoli Stati per ridurre emissioni ed inquinamento, tra lotta alla plastica monouso, negazionisti e manifestazioni di piazza.

Gran Bretagna

Il Paese che ha dato il via alla rivoluzione industriale con il carbon coke è stato il primo a dichiarare, lo scorso mese, “l’emergenza climatica”, seguito a ruota dall’Irlanda.

La Camera dei Comuni britannica ha approvato la mozione presentata nei giorni scorsi in aula dal leader del partito laburista, Jeremy Corbyn.

In totale, 59 comuni hanno dichiarato la situazione di emergenza, tra cui Londra, Edimburgo, Oxford, Cambridge e Newcastle.

Oggi la Gran Bretagna emette gas serra per l’equivalente di 450 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno.

Secondo il Comitato sul cambiamento climatico (CCC, organismo indipendente di consulenza del governo), il Paese potrebbe arrivare, entro il 2050, a produrne “solo” 130 milioni.

L’obiettivo ultimo è un sistema a “zero emissioni”, cioè capace di assorbire le stesse quantità di CO2 che inevitabilmente produce (attraverso sistemi di cattura e stoccaggio come il carbon storage) e di compensare le emissioni piantando alberi e aumentando le zone boschive.

Ma per raggiungere l’ambizioso obiettivo, avverte il Comitato, sono necessarie azioni drastiche: ridurre i rifiuti, diminuire il consumo di carne e prodotti caseari ed eliminare gradualmente – ma definitivamente – i veicoli a benzina e diesel entro il 2035.

USA

Il presidente Donald Trump ha più volte ribadito di non credere al cambiamento climatico: oltre ad aver ritirato gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, ha portato avanti una politica di deregulation ambientale, smantellando le misure ‘verdi’ adottate dall’amministrazione Obama.

Tra le ultime proposte, l’apertura alla costruzione di centrali elettriche alimentate a carbone di nuova generazione e il via libera alle esplorazioni petrolifere nelle aree naturali protette.

Ma i democratici sono pronti a dare battaglia: a febbraio è stata presentata una risoluzione congressuale dalla deputata progressista Alexandria Ocasio-Cortez e dal senatore Ed Markey.

Si tratta del cosiddetto Green New Deal, che vorrebbe velocizzare la transizione dall’economia del carbon fossile verso un sistema basato sulle fonti rinnovabili.

Lo scopo è far sì che entro dieci anni il “100% dell’energia elettrica sia generata con fonti rinnovabili”.

Il pacchetto di misure prevede anche investimenti massicci in nuove infrastrutture, nei veicoli elettrici e in nuove reti ferroviarie ad alta velocità.

In California, uno degli Stati più virtuosi dal punto di vista ambientale, il governatore democratico Jerry Brown ha ratificato una legge approvata dal parlamento locale per produrre energia senza alcuna emissione di gas serra entro il 2045.

Ma il governo federale si muove diversamente: l’ultima riunione del Consiglio Artico, in Finlandia, si è conclusa per la prima volta senza una dichiarazione condivisa contro il cambiamento climatico perché la delegazione degli Stati Uniti si è opposta alla formulazione proposta dagli altri Paesi.

Svezia

La Svezia è lo Stato più attivo nella lotta al cambiamento climatico secondo il Climate Change Performance Index.

Perché ha puntato su una forte riduzione delle emissioni domestiche e su una continua crescita delle energie rinnovabili: l’Agenzia svedese per l’energia ha annunciato che grazie allo sviluppo degli impianti eolici, gli obiettivi sull’uso delle rinnovabili prefissati per il 2030 sono stati raggiunti con dodici anni d’anticipo.

Ora progetta di azzerare l’emissione netta di anidride carbonica entro il 2050 al più tardi.

C’è però chi pensa che si possa ancora fare di più: la Svezia è la patria di Greta Thunberg, la giovane attivista che ogni venerdì saltava la scuola per protestare di fronte al parlamento svedese, lanciando il movimento globale #fridaysforfuture.

Seguendo il suo esempio migliaia di ragazzi (e non solo) si sono dati appuntamento nelle piazze per chiedere ai propri governanti misure concrete contro i cambiamenti climatici.

Cina

Il Paese dell’ “Airpocalypse”, storicamente vessato dall’inquinamento atmosferico e dallo smog, è tra quelli che più si stanno impegnando sul fronte dell’energia pulita: secondo un report dell’International Energy Agency, la Cina entro cinque anni sarà leader nell’utilizzo mondiale di energia rinnovabile.

Pechino, forte di un’avanzata tecnologia in questo settore, ha investito moltissimo nelle rinnovabili, soprattutto nel fotovoltaico e nell’eolico: oggi il Paese del dragone è primo nel settore dell’energia solare, nonché il principale costruttore al mondo di sistemi energetici green.

Dal 2014, sostiene un report del Centro Studi Internazionali, la Cina ha generato la stessa quantità di energia idroelettrica, solare ed eolica di Germania e Francia messe insieme.

Lo scorso anno, Xi Jinping aveva dichiarato guerra alla spazzatura, smettendo di importare rifiuti da Australia, Stati Uniti ed Europa: solo nel 2016 sono stati smaltiti in Cina 203 milioni di tonnellate di materiali di scarto, soprattutto plastica.

Ma anche le Filippine e la Malesia, che erano subentrate alla Cina come “discariche internazionali”, hanno rimandato al mittente container pieni di imballaggi usati, rifiuti elettrici e pannolini. 

La “spazzatura straniera” era un affare lucroso, ma non più sostenibile.

Brasile

L’insediamento del presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha suscitato preoccupazioni tra gli ambientalisti: da sempre scettico nei confronti del cambiamento climatico, il nuovo leader ha minacciato di seguire le orme di Trump e ritirare il Brasile dagli Accordi di Parigi, ipotesi mai attuata. 

Il Brasile ospita la più grande foresta pluviale del mondo, il polmone verde del mondo, indispensabile per evitare la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera, fattore considerato scatenante per il global warming.

Nel 2018 la deforestazione dell’Amazzonia ha raggiunto il livello più alto nell’ultimo decennio, per far spazio a campi e infrastrutture, ma anche per via del traffico illegale di terre e legname.

Il Brasile inoltre ha ritirato la propria disponibilità a ospitare il prossimo incontro annuale sul clima (COP25) perché contiene obiettivi che il presidente ha giudicato “impossibili”.

Italia

Quest’anno l’Italia ha fatto dei passi avanti sulla lotta alla plastica monouso, in linea con quanto succede nel resto d’Europa.

Dal primo gennaio, per esempio, è vietato vendere cotton fioc con il bastoncino in plastica e ad aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge Salvamare, che promuove il recupero dei rifiuti in mare, in particolare della plastica rimasta impigliata nelle reti dei pescatori, che potranno portarla nelle isole ecologiche in porto senza essere accusati di trasporto illecito di rifiuti.

Lo scorso anno, il 18% del fabbisogno energetico totale dei cittadini italiani è stato coperto da fonti di energia rinnovabili.

Entro il 2030, l’eolico e il solare riusciranno a garantire il 90% del fabbisogno, percentuale che potrebbe salire al 100 per cento entro il 2050.

Le previsioni sono contenute nel New Energy Outlook 2018 realizzato da Bloomberg.

Se i calcoli dovessero rivelarsi corretti, entro il 2035, il Belpaese dovrebbe essere completamente carbon-free.

Tuttavia un dossier di Legambiente avverte: in un anno in Italia sono stati destinati circa 18 miliardi di euro al settore delle fonti fossili, tra sussidi diretti e indiretti a petrolio e gas.

Climate Change Performance Index

 

(Articolo di Beatrice Manca, pubblicato con questo titolo il 5 giugno 2019 sul sito online “Ambiente & Veleni” del quotidiano “Il Fatto Quotidiano”)

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