È quasi mezzogiorno quando il governatore veneto Zaia e il ministro dell’Interno Salvini approdano a Breganze, terra di vigne e torcolato ai piedi dell’altipiano di Asiago, venti chilometri a nord di Vicenza. Sotto il primo caldo di giugno la parata leghista sfila in alta uniforme protetta dalle forze dell’ordine che presidiano ogni varco ed ogni ponte, rimuovendo gli striscioni appesi nella notte, allontanando gli ospiti indesiderati. A BREGANZE si festeggia l’apertura del primo tratto della Pedemontana Veneta, l’enorme lastra di asfalto che collega il trevigiano e l’ovest vicentino, da Spresiano a Montecchio Maggiore, raccordando l’A4 e l’A27, passando per l’A31. La scrivi «superstrada», la leggi «autostrada», con le sue insegne verdi, i caselli e gli 800.000 ettari coperti di nero asfalto: al primo tratto di 5,7 Km seguiranno poi tutti gli altri, lungo il percorso trincerato di 95 Km, attraverso le terre del vino e dell’asparago, tra i piccoli paesi dell’alto vicentino e i centri industriali di Thiene, Schio e Montecchio. «Spv fatta per i potenti, con i veneti indifferenti», recita uno striscione rimosso prima dell’alba da un cavalcavia: è la storia trentennale di un’infrastruttura gigantesca voluta dai potenti per i potenti, costruita con l’indifferenza del popolo veneto che ha accettato senza opposizione espropri e colate di cemento, mentre rapidamente scomparivano i campi dei loro padri e della loro storia, mentre 10.000 metri quadri dedicati all’asparago bianco lasciavano spazio alle rampe di raccordo e alle complanari. La storia della Spv comincia negli anni ’90: sul tavolo della Regione c’è un progetto per deviare il traffico dai piccoli paesi, costruendo una superstrada che liberi dai veicoli l’ombra dei campanili e al contempo colleghi le zone industriali del Trevigiano e del Vicentino. Lo schema uscito dalla Conferenza dei Servizi del 2001, tuttavia, non ha la firma dell’allora presidente regionale Galan e […]