Sono circa 197mila le tonnellate di rifiuti in plastica che l’Italia ha esportato all’estero lo scorso anno, perché le produce ma non le sa gestire: dove vanno a finire? Il rapporto Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plasticadiffuso oggi da Greenpeace cerca di ripercorrere le rotte della nostra spazzatura, che terminano a volte poco oltre i nostri confini e in altre si spingono fino al sud-est asiatico, ma in tutti i casi testimoniano quanto ancora sia difficile fare i conti con l’altra faccia dei nostri consumi. Uno scenario ormai di portata globale, che è cambiato bruscamente dopo la decisione da parte della Cina – arrivata nell’estate del 2017 – di vietare le importazioni 24 tipologie di rifiuti da diversi paesi che per anni se ne sono approfittati, mandando laggiù (legalmente) materiali di pessima qualità di cui non volevano occuparsi direttamente. Un divieto che ha influenzato profondamente il commercio internazionale di rifiuti: «Le esportazioni di rifiuti di plastica provenienti dai 21 principali Paesi esportatori sono diminuite costantemente dalla metà del 2016 alla fine 2018, passando da 1,1 milioni a 500 mila tonnellate al mese», ovvero circa la metà.» Oggi però quegli stessi stati – compreso il nostro – si trovano a gestire un’eccedenza di rifiuti plastici che fanno fatica a collocare sul mercato: «Sono all’ordine del giorno le notizie che riportano sia interruzioni che problematiche nei sistemi locali di raccolta, riciclo e gestione dei rifiuti, che l’invio di materiali riciclabili in discariche, inceneritori ed esportazione illegale. In Italia, parallelamente a queste problematiche, è opportuno evidenziare il crescente fenomeno dei roghi di depositi di rifiuti, principalmente in plastica, molto spesso riconducibile all’eccedenza di tali materiali», si legge nel rapporto Greenpeace. Chiusa la valvola di sfogo cinese, adesso le nuove rotte globali legate al commercio di materie plastiche riconducibili al codice doganale 3915 […]