Secondo Johan Rockström, co-direttore del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (PIK) e uno degli scienziati che ha definito i cosiddetti 9 confini planetari che non dovremmo oltrepassare, «per evitare il disastro climatico, l’eliminazione dei combustibili fossili è la parte facile», il test definitivo per l’umanità sarà la salvaguardia delle risorse biologiche come l’acqua, il suolo e la biodiversità. In un’intervista a Annette Ekin su Horizon, Rockström spiega che i confini planetari indicano i limiti dei «processi biofisici nel sistema terrestre che regolano la nostra capacità di avere un sistema climatico e un pianeta stabili. E quello che scopri è che non si tratta solo di carbonio, ma anche di sistemi e processi biologici. Occorre prendere sul serio tutti i confini planetari e riconoscere che tutti interagiscono l’uno con l’altro». Ma cosa c’entra questo con la necessità di limitare il riscaldamento globale a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali, come chiesto dal rapporto speciale dell’Intergovernmental panel on climate Change (Ipcc)? Rockström risponde che «se si legge attentamente il Rapporto 1,5° C dell’Ipcc, ci dice che, sì, dobbiamo sostanzialmente decarbonizzare il sistema energetico mondiale entro il 2045, massimo entro il 2050, per avere una possibilità di 1,5° C. Ma il presupposto è, ed è davvero un prerequisito per quell’impresa, che si mantenga la resilienza complessiva del pianeta, che il carbonio continui ad essere sequestrato (immagazzinato) in tutti i nostri ecosistemi naturali. Il modo in cui affrontiamo il capitale naturale e la biosfera vivente sarà fondamentale per stabilire se falliremo o riusciremo con l’Accordo di Parigi». L’Unione europea ha annunciato la sua nuova strategia sulla bioeconomia e per il co-direttore del PIK si tratta di un passo avanti importante: «Concentriamo tutta la nostra attenzione su carbone, petrolio e gas naturale, ma quando si guarda l’agenda in generale, questa è la parte più facile della sfida climatica. La parte […]