Sul piano nazionale, europeo e mondiale tiene banco ormai una crisi ambientale che impone una rimessa a punto di politiche che evitino derive drammatiche di cui avvertiamo già segnali allarmanti. Accordi internazionali come quello di Parigi segnano il passo, ministri dell’Ambiente che si dimettono, denunce dell’Onu e molto altro ancora. In questo contesto anche le politiche di tutela più innovative affidate ai parchi e alle altre aree protette, come possiamo toccare con mano nel nostro paese, registrano serie difficoltà. E diversamente da quanto si è sostenuto nella lunga e sconcertante discussione sulla legge di ‘riforma’ della 394, fortunatamente non approvata, la recente indagine del Wwf apprezzata dal ministro dell’Ambiente Costa ha chiaramente documentato dove stanno e quali sono i guai dei nostri parchi. Solo il 30% dei parchi nazionali ha il piano, il 35% manca del direttore, meno della metà ha il regolamento, molti sono commissariati da anni, il 17% non ha esperti (biologi, agronomi e forestali) né soldi, specie le aree protette marine di cui solo il 15% del budget è dedicato alle azioni di conservazione. D’altronde le aree protette marine dopo anni di chiacchiere continuano a non essere veri parchi, e mancano ancora in parchi come quello dell’Arcipelago toscano. Tanto è vero che la legge ‘sfasciaparchi’ prevedeva una loro ulteriore marginalizzazione e privatizzazione. Che questa grave situazione potesse dipendere dai limiti della legge 394 era ed è una balla, anche se qualcuno lo pensa ancora. Ma chi ora non potendo continuare con questa solfa se la rifà con la burocrazia non vuole prendere atto che gli intoppi erano e continuano ad essere nella politica, e non perché è troppa ma perché sbagliata. Anche la burocrazia infatti fa più danni quando è la politica che non riesce a fare la sua parte come è avvenuto finora. Ed è […]