L’ondata di sdegno per la tragedia del ponte Morandi ha fatto circolare, soprattutto sui social, frasi che ricordano polemicamente come i ponti costruiti dai Romani siano ancora in piedi dopo duemila anni, ben diversamente dalle grandi opere contemporanee. Secondo una lista stilata nel 1995 da Vittorio Galliazzo i ponti romani conosciuti sono circa 900, sparsi in tutte provincie di quello che una volta era l’Impero: dalla Libia alla Germania, dall’Iraq al Portogallo. In effetti, molte di queste strutture sono ancora integre e in uso, basti pensare, solo in Italia, ai noti Ponte Milvio, Ponte Fabricio e Ponte S. Angelo a Roma, al Ponte di Tiberio a Rimini, al Ponte del Diavolo di Cividale del Friuli. Allievi degli Etruschi, i Romani fecero dell’ars pontificia un’arte sacra, tanto che il più alto grado sacerdotale era quello del Pontifex Maximus, magistrato che si occupava, appunto della costruzione dei ponti. La carica fu poi traslata metaforicamente nella Chiesa cattolica con l’attribuzione al vescovo di Roma della funzione mistica di tramite fra l’uomo e Dio. I ponti romani furono i più grandi e duraturi dell’antichità, basti ricordare quello di Traiano, progettato da Apollodoro di Damasco che, con i suoi 1.135 metri lunghezza e 15 di larghezza, per oltre un millennio rimase sospeso a 19 metri sopra il livello del Danubio, nell’attuale Romania. Fu realizzato in soli due anni e questo dovrebbe far ben sperare circa la recente promessa (forse un poco ardita) di Autostrade di ricostruire il ponte Morandi in appena cinque mesi. Il segreto della longevità L’ingegner Flavio Russo, specializzato in archeologia sperimentale e nella ricostruzione di antiche macchine belliche romane, spiega il segreto della longevità di tali costruzioni: “Il fatto è che i ponti romani erano edificati con materiali non deperibili come la pietra invece del calcestruzzo. Non vi era […]