La perfida combinazione tra taglio dei trasferimenti statali e federalismo fiscale è alla radice del declino delle città, anzi, della città intesa come organismo sociale. Lo spiegano bene alcuni dati pubblicati ieri sul Sole 24 Ore: «La Capitale ha messo in programma per quest’anno una spesa da 467,5 milioni di euro, che significano 163 euro ad abitante e una flessione del 15% rispetto al preventivo dello scorso anno. A Milano la stessa casella registra 2,41 miliardi (-3,1% rispetto alle previsioni 2017), cioè 1.786 euro ad abitante: 11 volte tanto il dato capitolino». Una sfida impari, che si ripercuote direttamente sulla qualità della vita della metropoli. Ad esempio l’annoso problema della manutenzione del manto stradale: «le conseguenze pratiche si incontrano per esempio per strada, cioè alla voce “trasporti e mobilità”, a cui Roma dedica 293 milioni in conto capitale contro gli 1,34 miliardi di Milano». Leggendo questi dati il problema non sono più le voragini che quotidianamente attentano alla vita della popolazione romana. A risaltare è il miracolo di una città non ancora sprofondata definitivamente in una qualche catacomba precristiana. Come sopravvivere con tale penuria di fondi? La ridotta capacità finanziaria romana dovrebbe essere compensata da quei trasferimenti statali che però, da un ventennio, continuano ad essere tagliati in nome di un federalismo fiscale che incentiva la competizione metropolitana, e non la collaborazione tra città di uno stesso contesto nazionale: «La scure sui trasferimenti verso gli enti locali si fa sentire: nel triennio 2013-2015 i fondi per la Capitale sono passati da 1.158 miliardi a 932 milioni di euro. Quasi 200 milioni di euro in meno che diventano oltre 400 milioni se l’anno di partenza diventa il 2011. Con altra modalità di calcolo: nel 2009 i trasferimenti statali ammontavano a 644 euro per ciascun romano, nel 2015 a 347 euro», secondo quanto scriveva Andrea […]