Giulio Tremonti, che sta ora lanciando con Vittorio Sgarbi un qualche loro rinascimento elettorale, passerà alla storia per qualcos’altro. Per una frase scolpita tra i Fatti e Detti Memorabili del berlusconismo: “Con la cultura non si mangia”. L’antico ministro del Tesoro sostiene di non aver mai pronunciato quelle parole, e possiamo anche credergli anche se, nei suoi anni al governo, a quel principio egli sempre si attenne, come a un Vangelo privato. A lui risale, con la passiva complicità di Sandro Bondi, il dimezzamento del bilancio dei Beni culturali, le cui conseguenze ancora si sentono; a lui, con l’attiva complicità di Mariastella Gelmini, gli irresponsabili tagli ai bilanci di università e ricerca che costringono all’esilio migliaia di giovani ricercatori, accolti a braccia aperte in tutto il mondo, e a nostre spese (la formazione l’abbiamo pagata noi). E il degrado dei patrii costumi non si arresta: forse per mostrare che con la cultura si mangia, a Montepulciano il famoso paramento murario di palazzo Bucelli, che schiera in facciata decine di urne etrusche come biglietto da visita di un collezionista settecentesco, serve ormai ad appenderci salami e prosciutti. La foto, scrive l’egittologo Francesco Tiradritti, parla più di mille parole. Segnala una gerarchia, prima gli affari e poi gli etruschi; e mette in soffitta la storia sotto una coltre d’insaccati. Col permesso o col silenzio, s’immagina, delle “autorità preposte”. E sì che gli Statuti di Montepulciano del 1337 stabilirono chiaramente “che siano conservate e mantenute in buono stato tutte le strade pubbliche, e non sia permesso ad alcuno di occuparle abusivamente”, punendo severamente chiunque vi faccia per proprio vantaggio qualcosa d’improprio. I contravventori, proseguono gli Statuti (art. VI, 194) dovranno essere obbligati dal sindaco a riparare ogni danno. La stessa identica gerarchia di valori (prima gli affari, poi la bellezza, l’arte, la storia, il […]