Quando piovono pietre, è tempo di distinguere tra i fatti e i sintomi. Il fatto è quello che è: un turista muore a Firenze ucciso da una pietra che gli cade in testa dal soffitto di Santa Croce. Possiamo sospendere il giudizio, in attesa che la magistratura accerti le responsabilità (se ce ne sono), ma non dobbiamo ignorare il sintomo. La pietra che piove a Santa Croce si allinea infatti con troppi altri sintomi simili, che sono altrettanti segnali di un generale malessere della tutela dei beni culturali in Italia. Oggi Santa Croce, ieri Pompei, ma anche pezzi di Lungarno che franano nella stessa Firenze, il sito archeologico di Sibari allagato, il tempio greco di Caulonia che scivola in mare, il muro di contenimento degli Orti Farnesiani sul Palatino che si sbriciola, due chiese storiche di Pisa (San Paolo a Ripa d’Arno e San Francesco) chiuse al culto per anni onde evitarne il crollo; e così via. Storie di cui perdiamo rapidissimamente ogni memoria, e di cui nessuno tiene il conto. E se ci chiedessimo perché? Il patrimonio culturale di cui l’Italia si vanta è enorme e prezioso, ma è anche antico e fragile. Richiede cure. Se pensiamo alla salute del nostro corpo, sappiamo che è meglio prevenire che curare, e non aspettiamo di essere colpiti da gravi morbi per correre ai ripari. “Prevenire è meglio che curare” è la regola d’oro anche per il patrimonio culturale, ma continuiamo a ignorarlo. Per misteriose ragioni, attrae di più la retorica del mirabile restauro, dell’intervento prodigioso che riporta in pristino il monumento o il quadro in disfacimento. Ma il più grande direttore nella lunga storia dell’Istituto Centrale per il Restauro, Giovanni Urbani, predicava invece, senza trovare molto ascolto, che meglio di qualsiasi restauro è la conservazione programmata: monitorare preventivamente lo stato […]