Nel mondo vi sono circa 1,2 miliardi di persone senza energia (e telecomunicazioni), di cui circa 800 milioni nell’Africa subsahariana, area dalla quale provengono la maggior parte dei “migranti economici”, in genere giovani che nei loro paesi e comunità non vedono e non hanno nessun futuro di vita dignitosa. In questi paesi, come in altri dell’America latina e dell’Asia, fino all’80% della popolazione vive infatti senza energia elettrica e telecomunicazioni (cellulari ed internet), nei casi migliori, e cioè senza considerare carestie o siccità; sostanzialmente sono popoli interi che vivono in una condizione di “economia di sopravvivenza e sussistenza”, grazie a piccole attività agricole e artigianali informali e in genere irregolari, senza possibilità o prospettive di riscatto. Ed è proprio l’assenza di energia elettrica e telecomunicazioni a ridurre al minimo, alla sola sussistenza, le attività economiche, condannando queste comunità al sottosviluppo ed emarginazione e spingendo i giovani ad una vera migrazione di massa che spesso si conclude tragicamente nel Mare nostrum dell’indifferenza. L’assenza di energia elettrica che, oltre a non dare alle abitazioni e agli abitanti quel minimo di comfort di vita “civile”, non consente di generare valore aggiunto producendo e commercializzando la produzione agricola, in genere potenzialmente abbondante; se vi fosse energia, per esempio, per irrigare le culture, oppure per alimentare una “catena del freddo” (celle frigorifere) per lavorare e stoccare gli alimenti. Questo, in un mondo sempre più interconnesso aumenta infatti la loro emarginazione rispetto a 100 anni fa quando tutto era più lento, ma per tutti. È insomma l’assenza di energia – non quella, quando presente, dei “voraci” ed inquinanti generatori a gasolio che “svuotano tasche già quasi vuote” –, energia pulita, autoprodotta, la “condizione prima” della povertà e delle migrazioni. Ad oggi mi trovo in Nicaragua per un progetto di cooperazione che interessa una comunità locale di circa 1500 persone […]