A marzo, il presidente Usa Donald Trump, circondato da parlamentari repubblicani e dall’amministratore delegato di TransCanada, Russ Girling, annunciò in pompa magna che la sua amministrazione aveva deciso di dare il via libera alla controverso e gigantesco oleodotto Keystone XL, bloccato da Barack Obama e osteggiato fortemente dalle comunità locali e dalle associazioni ambientaliste statunitensi. Trump assicurò che per il Keystone XL i giochi erano fatti e che niente avrebbe impedito di trasportare il petrolio delle sabbie bituminose dell’Alberta – il più inquinante del mondo – dal Canada fino alle coste texane del Golfo del Messico. Ma ci hanno pensato la realtà e l’economia a far scemare il trionfalismo fossile di The Donald: la settimana scorsa, TransCanada, la multinazionale che dovrebbe realizzare la Keystone XL pipeline, ha annunciato che sta cercando clienti a cui vendere il petrolio che dovrebbe essere trasportato dall’oleodotto. E il progetto ha ancora bisogno di approvazione da una commissione di regolamentazione di Nebraska, che probabilmente non arriverà fino alla fine di novembre. Come scrive Natasha Geiling su ThinkProgress, «considerati insieme, questi sviluppi suggeriscono che la pipeline – contro la quale attivisti, comunità indigene e proprietari terrieri del Midwest hanno lottato per quasi un decennio – alla fine potrebbe non essere costruita». Paul Miller, a capo del liquid pipelines business di TransCanada ha detto agli investitori: «Quando sarà il momento, faremo una valutazione del sostegno commerciale e delle approvazioni del regolamentatore. Se decideremo di proseguire con il progetto, avremo ancora bisogno di 6 o 9 mesi per allestire alcune delle squadre di costruzione, eccetera, il che sarebbe seguito da un periodo di due anni per la costruzione». Questo significa che, se dovesse tutto andare per il verso giusto per Trans Canada, l’oleodotto Keystone XL non sarà operativo fino al 2020 e che il futuro del progetto […]