Paradosso dei paradossi: anche una persona amante degli altri animali (magari vegetariana e pure vegan) può esser responsabile del reato di maltrattamento di animali di cui all’art. 727 cod. pen. Accade quando vengano tenuti “all’interno di un locale chiuso concesso in comodato d’uso, 25 gatti selvatici (rectius, liberi, n.d.r.) e un cavallo, in condizioni ambientali incompatibili con la natura degli stessi animali, a causa delle quali essi avevano patito gravi sofferenze”, in quanto “il locale si trovava in pessime condizioni igieniche, con il pavimento completamente imbrattato di feci e di urina frammiste a segatura e sporcizia varia, tali da provocare esalazioni ammoniacali urticanti ed a contaminare il cibo e l’acqua”. In tali casi, sarebbe necessario modificare le proprie abitudini, perché chi ne soffre le conseguenze sono proprio quegli altri animali che si amano alla follìa. La giurisprudenza penale in materia è chiara e univoca e la sentenza Cass. pen., Sez. III, 1 marzo 2017, n. 10009 si inserisce in tale linea interpretativa: “il reato in questione è integrato dalla condotta, anche occasionale e non riferibile al proprietario (Sez. 3, Ordinanza n. 6415 del 18/01/2006, dep. 21/02/2006, Bollecchino, Rv. 233307), di detenzione degli animali con modalità tali da arrecare agli stessi gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, dep. 17/02/2015, Garnero, Rv. 262529; Sez. 3, n. 37859 del 4/06/2014, dep. 16/09/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184). Dunque, ai fini dell’integrazione del reato in esame non è necessario che l’animale riporti una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere anche soltanto in meri patimenti (Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, dep. 7/01/2008, Mollaian, Rv. 238602), la […]