Rifiuti, la nuova discarica e la funzionaria che si autorizza da sé

 

Nella irrisolta è sempre incombente crisi dei rifiuti romani c’è una battaglia che si combatte da anni sotto traccia e in cui si è già vista una dirigente regionale interrogare se stessa (e rispondersi favorevolmente) sulla autorizzazione da dare alla contestata discarica di Magliano Romano, nella Valle del Treja.

Uscendo dalla trincea infinita dei ricorsi al Tar, uno dei comitati si è ora rivolto in procura nel timore di una nuova Malagrotta.

Agli atti del pm Alberto Galanti, in un fascicolo al momento senza ipotesi di reato, ci sono già le autorizzazioni acquisite dai carabinieri del gruppo forestale negli uffici della Regione.

E da qui bisogna partire per spiegare la posta in gioco.

Il sospetto degli abitanti di una dozzina di comuni dell’area Tiberina-Cassia-Flaminia (Morlupo, Sant’Oreste, Castelnuovo di Porto, Formello, Fiano Romano, Rignano Flaminio tra gli altri) è che a due passi dall’oasi protetta del parco di Vejo si stia preparando il terreno, non solo metaforicamente, alla discarica di servizio di cui la Regione sostiene l’esigenza per chiudere il ciclo dei rifiuti capitolini da quando la «buca» di Manlio Cerroni ha smesso di ricevere immondizia.

E alcuni passaggi amministrativi sembrano andare in questa direzione.

Il caso nasce dal progetto di riutilizzo della cava di tufo di Monte della Grandine, attiva dal 1985, e trasformata in sversatoio di rifiuti inerti a partire dal 2007 in concomitanza del passaggio alla gestione della Idea4.

Un sito da 890 mila metri cubi di capacità nel quale la società privata vorrebbe ammettere 21 nuovi codici Cer (la tipologia di rifiuti conferibili, tra cui fanghi, scarti di fibre, scorie di fusione…) , oltre che accogliere rifiuti speciali non pericolosi e avviare il trattamento del percolato, che in una discarica di inerti non dovrebbe a logica formarsi.

Tutte richieste passate indenni al vaglio della Regione ma a cui si sono opposti sindaci e comitati.

Il Tar ha sospeso i provvedimenti con parole anche pesanti, ma puntuali sono arrivati i contro ricorsi firmati non solo da Idea4, come sarebbe ovvio, ma anche dalla stessa Regione «perché — si legge nelle istanza al tribunale amministrativo — è sussistente l’interesse di questa amministrazione».

Neanche due interrogazioni, una in Regione di M5S, una in parlamento del Pd, hanno fermato il progetto.

Idea4 fa capo ai fratelli Riccardo e Marcello Bellucci e tra i soci figura la funzionaria del Ministero dell’Interno Ester Fusco, moglie del progettista dell’impianto, il geologo Leonardo Nolasco, figlio dell’ex dirigente regionale nel ciclo rifiuti la cui altra figlia lavora tuttora in Regione.

Accogliere rifiuti diversi dagli inerti si scontra, secondo i comitati, con una serie di vincoli ambientali, paesaggistici, di rischi per la falda acquifera e di vicinanza al centro abitato.

Per dire: l’area vanta percorsi naturalistici, culture e allevamenti biologici sostenuti dalla stessa Regione e dalla Ue.

Dettagliati studi mostrano le ripercussioni che la discarica «modificata» avrebbe sui terreni.

In una delle ordinanze sospensive emesse di recente, il Tar parla di «pregiudizio imminente e irreparabile per l’ambiente e i cittadini», evidenziando «profili di criticità sia riguardo allo scarico delle acque, sia alla genericità delle prescrizioni imposte dalla Regione che non appaiono in grado a garantire l’effettività dei controlli, sia con riguardo alla non assoggettabilità alla Valutazione di impatto ambientale (Via)».

E qui entra in gioco la dirigente regionale Flaminia Tosini, che l’1 luglio come direttore dell’area tutela del suolo chiede all’ufficio Via se l’intervento che lei ha approvato in prima istanza deve essere sottoposto alla valutazione e il 27 settembre si risponde da quello stesso ufficio, passato intanto sotto la sua direzione, che «la discarica in argomento» si inquadra in una categoria esente.

L’esposto portato in procura dal Comitato Bacino Valle del Treja diffida ad andare oltre e questo è solo uno dei passaggi evidenziati e che se trovassero conferma aprirebbero la strada a pesanti contestazioni penali.

«Sembrano mancare le necessarie valutazioni ambientali sia di impatto del progetto complessivo, cioè sui tre procedimenti di modifica dei codici, di deroga sui valore limiti di ammissibilità dei rifiuti, sull’impianto di percolato, sia di incidenza sulla Rete Natura 2000, su cui pesa una pesante procedura di infrazione comunitaria», accusa l’avvocato Vanessa Ranieri che assiste il comitato presieduto da Jonas Clementoni.

Tra le persone che si chiede di ascoltare come testimoni, oltre alla catena di funzionari regionali, c’è anche Fabio Ermolli, dirigente dell’Arpa Lazio, già indagato, e poi prosciolto, nell’inchiesta Cerroni.

«Si tratta di modifiche non sostanziali che saranno valutate nel merito dai giudici — argomenta la Tosini —. Abbiamo già accolto alcune obiezioni del Tar.  

Il via libera al percolato?  

Il sito è pensato per i rifiuti speciali ed è impermeabilizzato, l’acqua piovana potrebbe ristagnare.  

Al momento non ci sono indicazioni sulla discarica che sostituirà Malagrotta, per quella bisogna attendere il piano rifiuti».

 

(Articolo di Fulvio Fiano, pubblicato con questo titolo il 22 marzo 2017 sulla cronaca di Roma del “Corriere della Sera”)

 

 

 

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