L’imprudenza di Paolo Berdini non può trasformarsi in un viatico per l’approvazione dello Stadio. Il progetto che va sotto il nome Stadio della Roma è forse la più grossa speculazione fondiaria tentata a Roma dopo l’Unità d’Italia. Un milione di metri cubi a Tor di Valle, in una fragile ansa del Tevere non lontana dall’Eur, località difficilmente accessibile, servita solo dalla Roma-Lido, la peggiore ferrovia d’Italia. Un milione di metri cubi equivale a dieci volte il volume dell’Hilton, l’albergo su Monte Mario della Società generale immobiliare contro il quale, a metà degli anni Cinquanta, si mobilitò l’Espresso (che aveva pochi mesi di vita). «Capitale corrotta, nazione infetta» è il titolo dell’articolo di Manlio Cancogni che dette il via a una memorabile campagna giornalistica, politica e morale, contro il malgoverno urbanistico. All’Espresso si affiancò Il Mondo dove scriveva Antonio Cederna che nell’occasione coniò l’hilton, unità di misura della speculazione edilizia: un hilton = centomila metri cubi. Del milione di metri cubi previsti a Tor di Valle, lo stadio e le altre funzioni connesse alle attività sportive formano solo un segmento, meno del venti per cento, di un complesso immobiliare che comprende tre grattacieli alti più di duecento metri e altri edifici destinati ad attività direzionali, ricettive e commerciali senza rapporti con lo stadio, ma destinati a compensare il costo delle infrastrutture dichiarate necessarie per la funzionalità dell’insieme. Una specie di piccola Eur dove il piano regolatore prevede impianti sportivi con modeste cubature. Tutto ciò sarebbe consentito non da una legge sugli stadi, di cui ogni tanto si sente parlare, legge che non esiste, ma grazie a una norma inserita forzosamente e all’ultimo momento nella legge di stabilità del 2014 nell’ambito del tradizionale maxiemendamento e quindi approvato solo per volontà del governo con voto di fiducia. E contro tutto ciò si […]