Non sono molti gli ambiti internazionali in cui l’Italia sappia esercitare una leadership: nonostante tutto, è ancora il caso della tutela del patrimonio culturale, e torna a dimostrarlo, in questi giorni, un seminario del Consiglio d’Europa alla Scuola Imt di Alti Studi di Lucca. Al centro della discussione è il negoziato, in corso presso lo stesso Consiglio d’ Europa, sui reati penali contro il patrimonio. Un negoziato che già ad aprile sfocerà in una Convenzione internazionale che – una volta ratificata dagli Stati nazionali – renderà più sicuro ciò che abbiamo di più prezioso: musei, scavi archeologici, biblioteche, archivi e molto altro. L’obiettivo – facile da comprendere, ma finora arduo da raggiungere – è definire con gli stessi termini, reprimere con i mezzi più avanzati e possibilmente punire con decisione i tanti modi che esistono prima per rubare, e poi per far muovere da uno Stato all’altro questa specialissima refurtiva: quadri, statue, libri, reperti di ogni tipo. Oggi un’estrema sperequazione di mezzi caratterizza, per così dire, le guardie e i ladri d’ arte (da non immaginare come romantici Lupin: tra loro contano anche i terroristi dell’ Isis). L’internazionale del crimine contro il patrimonio usa mezzi sofisticati e ignora ogni confine nazionale, mentre le forze di polizia (pensiamo ai nostri eroici carabinieri del Nucleo di tutela) e le magistrature che devono combatterla sono frenate da strumenti giuridici antiquati ( pressoché impossibile, per esempio, usare le intercettazioni per reati di questo tipo), rogatorie internazionali interminabilmente lunghe, resistenze sciovinistiche. Queste ultime rendono complessa la trattativa per la nuova convenzione: l’interesse dei Paesi ricchi di opere d’arte e di siti archeologici (Italia, Grecia, Cipro, Spagna, Portogallo e Francia) diverge da quello dei Paesi ricchi di case d’asta e di gallerie antiquarie (Regno Unito e Olanda su tutti), e la libera circolazione delle merci […]