Si è svolto il convegno che ha voluto fare il punto sugli impianti pubblicitari tra presente e futuro

 

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Nella splendida cornice dei sotterranei dello Stadio di Domiziano a cui si accede dal n. 3 di via di Tor Sanguigna si è svolto ieri mattina il convegno organizzato dalla confederazione Imprese Romane Associate (I.R.P.A.).

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L’I.R.P.A. è una associazione di categoria che, stando a quanto dichiarato sul proprio sito web, ha come associate 36 ditte pubblicitarie.

Fra il folto pubblico che ha partecipato al convegno non c’erano soltanto i rappresentanti di diverse delle suddette 36 ditte associate (come la GREGOR, la SPOT, la SARILA e la ORSA PUBBLICITÀ), ma anche i rappresentanti di associazioni di categoria come le Società Pubblicitarie Associate Romane (S.P.A.R.) e la Associazione Imprese Pubblicità Esterna (A.I.P.E.) di cui ieri mattina erano presenti anche i rappresentanti di alcune ditte associate come la Azienda Pubblicità Affissioni (A.P.A.) e la MORETTI PUBBLICITÀ: erano altresì presenti i rappresentanti di alcune ditte facenti parte della Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (A.A.P.I.) come la CLEAR CHANNEL e la IGP DÉCAUX.

Al convegno ha voluto partecipare fra gli altri anche Umberto Croppi, ex assessore alle Politiche Culturali e alla Comunicazione del Comune di Roma all’epoca del Sindaco Alemanno, che mi ha voluto salutare personalmente, memore dei dibattiti passati su urbanistica e ambiente.

Ha dato inizio al convegno il Presidente del TAR Basilicata dott. Giuseppe Caruso che ha parlato di contesto evocativo in una splendida allocation, facendo sapere di essere stato interessato dagli argomenti in programma, per un dibattito che alla fine può costituire un servizio pubblico.

Ha quindi introdotto l’avv. Giuseppe Scavuzzo, Responsabile dell’Ufficio Legale dell’I.R.P.A., che ha patrocinato i ricorsi al TAR contro PRIP e nuovo Regolamento di Pubblicità a nome e per conto dell’I.R.P.A. e di diverse delle ditte pubblicitarie ad essa associate.

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Giuseppe Scavuzzo

Si è dichiarato contento del discreto numero di partecipanti, malgrado il diluvio che c’era stato in città.

Ha tenuto a chiarire che il suo intervento non sarebbe stato improntato a questioni di carattere giuridico, ma dedicato a questo settore della pubblicità esterna molto vituperato sia dai media che da una certa parte della politica, per cui ci ha tenuto a sfatare questa brutta fama.

Ha ricordato la progressiva riduzione dei formati degli impianti pubblicitari, dapprima di metri 6 x 3, poi ridotti a 4 x 3 ed infine ulteriormente abbassati al formato massimo di 3 x 2, facendo come prima valutazione che Roma è la 1° capitale ad avere questo formato massimo.

Ha messo in evidenza che in tal modo si è ottenuta una riduzione dell’impatto visivo, ma con costi alti per le imprese pubblicitarie che sarebbero state costrette a notevoli investimenti: debbo far presente al riguardo che il dimezzamento della superficie pubblicitaria da 12 mq. (impianti di mt. 4 x 3) a 6 mq. (impianti di mt. 3 x 2) ha comportamento anche il dimezzamento del Canone Iniziative Pubblicitarie (C.I.P.9, con un risparmio che dovrebbe aver coperto per intero l’investimento della conversione di tutti gli impianti di mt. 4 x 3.

Giuseppe Scavuzzo ha fatto presente che il Comune non assicura nessuna garanzia di questi impianti sul territorio: ha tenuto fra l’altro a precisare che non c’è una loro invadenza nel centro storico.

Ha quindi posto l’accento su un altro aspetto, quello dell’abusivismo, su cui si è creato un mito assolutamente da sfatare: ha ricordato come la massima concentrazione sia avvenuta intorno agli anni tra il 1998 ed il 2000 con la cosiddetta “procedura del riordino” che a suo dire non è stata mai conclusa, con il Comune che non ha rilasciato più titoli, provocando per reazione il fenomeno dell’abusivismo (comunemente noto come “cartellopoli”).

Ha quindi ricordato la creazione della Nuova Banca Dati degli impianti pubblicitari dove sono state registrate installazioni successive a quelle del “riordino”, alle quali ha posto rimedio la Deliberazione della Giunta Capitolina n. 425 del 13 dicembre 2013, con cui è stata disposta la rimozione dei cosiddetti impianti “senza scheda”, in quanto installati abusivamente e poi autodenunciati: a tal ultimo riguardo va messo in evidenza che nell’ultimo aggiornamento al 18 marzo 2016 della Nuova Banca Dati figura che sono molte le ditte pubblicitarie associate all’I.R.P.A. che hanno installato impianti “senza scheda” di cui si dichiara la cessazione proprio ai sensi della deliberazione n. 425/2013.

Al riguardo l’avv. Giuseppe Scavuzzo ha fatto presente che oggi come oggi gli impianti abusivi sono un numero limitatissimo, anche perché buona parte degli impianti “senza scheda” sono stati rimossi dalle stesse ditte proprietarie.

Giuseppe Scavuzzo è quindi passato a parlare del settore “produttivo”, ricordando la sua partecipazione alla seduta della Commissione Commercio dell’11 novembre scorso, nel corso della quale è risultato – in base ai dati ufficiali fornisti dal Presidente della Commissione Andrea Coia – che ammontano a 12 milioni gli euro incassati dal Comune nel 2015, con un andamento che anche per il 2016 sembra confermare un pagamento totale del C.I.P. da parte delle ditte pubblicitarie, anche perché non hanno possibilità di evasione dal momento che le fatture vanno fatte prima, mentre per confronto ad esempio con il settore dei camion bar si ha appena il 15% dell’incasso totale che il Comune dovrebbe avere.

L’avv. Giuseppe Scavuzzo è quindi passato ad esaminare l’aspetto relativo ai Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari che così come voluti dall’allora assessore Marta Leonori hanno portato a ridurre a 65.000 mq. la superficie pubblicitaria, determinando una sproporzione rispetto al numero degli abitanti: a tal ultimo riguardo ha messo in evidenza come a Milano che ha un numero minore di abitanti ci sia una superficie pubblicitaria complessiva di 138.000 mq..

Ha rilevato come solo il 17% dei suddetti 65.000 mq. sia riservato a chi opera a Roma dall’altro secolo: si riferisce evidentemente agli impianti SPQR di proprietà del Comune.

L’avv. Giuseppe Scavuzzo ha voluto perdere due parole anche sul servizio di Bike Sharing e sulle morosità precedenti, risanate grazie ad un piano di rientro delle ditte, per mettere in risalto che il Comune ha avuto una perdita di 1 milione di euro.

Ha ricordato la riunione della Commissione Commercio dello scorso 9 novembre, a cui ha partecipato l’Assessore Meloni che ha fatto presente che la realizzazione di 80 ciclostazioni comporterebbe un investimento di 2 milioni e mezzo di euro, per arrivare alla conclusione che sarebbe del tutto anticonveniente l’assegnazione del servizio ad un unico soggetto, perdendone gli introiti.

A suo dire, per “colpa” del Bike Sharing, le altre ditte pubblicitarie saranno costrette alla chiusura delle attività su un settore che oggi come oggi occupa 4-5.000 persone: settore che merita quindi molto più rispetto, perché Roma non può privarsi di ditte che operano a Roma da 35 anni.

Dopo questa introduzione, si è così passati agli interventi sugli aspetti giuridici.

Ha preso la parola l’avvocato amministrativista dello studio legale Santiapichi Nicoletta Tradardi, che in programma aveva “una breve ricognizione della normativa: gli elementi di particolare criticità”.

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Nicoletta Tradardi

Ha esordito affermando di avere avuto occasione di approfondire tale materia che le ha lasciato dubbi e spunti di riflessione.

A suo giudizio manca una disciplina organica della materia a livello legislativo: ha ricordato al riguardo il nuovo Codice della Strada (emanato con Decreto Legislativo n. 285 del 30 aprile 1992), il Decreto Legislativo n. 507 del 15 novembre 1993, il Decreto Legislativo n. 446 del 15 dicembre 1997 ed il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (emanato con Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004).

Ha definito le suddette discipline di merito “generali” e “generiche”, che rimandano ai Regolamenti Comunali, dando ad ogni Comune ampia discrezionalità in sede applicativa.

Ha fatto presente come da un lato il Piano Regolatore degli impianti debba essere un vero e proprio piano oppure un indirizzo di mero carattere inibitorio e dall’altro lato ha posto l’accento sulle modalità di ottenimento delle autorizzazioni.

Il D.Lgs. n. 507/1993 faceva riferimento alla prima normativa del settore risalente al 1928, dove la pubblicità era fine a sé stessa: con il D.Lgs. n. 446/1997 si è fatto un passo in avanti nella nozione della impiantistica pubblicitaria, perché richiede sia un Regolamento che un Piano Regolatore degli Impianti e contiene l’indicazione di determinare le modalità di impiego dei mezzi pubblicitari.

A suo giudizio accade che queste normative di principio abbastanza generali creano delle problematiche in fase attuativa.

Ha fatto presente a tal riguardo la problematica relativa alle concessioni o ai Regolamenti con disciplina sia autorizzatoria che concessoria, su cui c’è stata ampia Giurisprudenza: ma rimane secondo lei l’interrogativo sui due aspetti.

Ha fatto riferimento alla Sentenza del Consiglio di Stato n. 5 del 25 febbraio 2013, che ha ritenuto legittime le procedure di competitività tramite bandi di gara, mettendo in evidenza che dopo tale pronuncia in Adunanza Plenaria ci sono state altre pronunce giurisprudenziali che hanno fatto capire come il dibattito su tale materia sia ancora in corso.

L’altra questione che è posta sul D.Lgs. n. 507/1993 riguarda l’interrogativo che si è posta chiedendosi per quale ragione – se gli spazi debbono essere contingentati – il legislatore non lo abbia detto chiaramente.

Tornando alla questione “Regolamenti” ha affermato che non dicono tempi certi per la durata dei titoli abilitativi, creando dei problemi [non è così per il nuovo Regolamento di Pubblicità del Comune di Roma che ha fissato al 31 dicembre 2014 la scadenza di tutte le autorizzazioni e di tutte le concessioni, ndr.].

È passata poi a parlare della divisione in lotti degli impianti pubblicitari da mettere a gara, affermando che una volta formati devono essere “economicamente appetibili”, o con un cannone annuo da mettere a gara al massimo rialzo o con prestazioni di carattere esecutivo come opere di arredo urbano.

Ha quindi parlato delle problematiche sul territorio, parlando di regime transitorio fino all’espletamento delle gare, che a suo giudizio non garantisce regimi di ammortamento, con difficoltà delle ditte esistenti e operanti che sono proprietarie degli impianti del “riordino” [il “regime transitorio delle ditte esistenti al Roma sta durando dalla scadenza degli impianti avvenuta ormai quasi due anni fa e durerà fino alla entrata a regime con l’espletamento dei bandi di gara, ndr.]

È intervenuta subito dopo la dott.ssa Maria Cristina Quiligotti, che è attualmente membro della Sezione Terza Bis del TAR del Lazio, ma che nell’udienza pubblica del 17 dicembre 2014 ha fatto parte della Sezione Seconda del TAR che si è pronunciata su 6 delle 9 domande cautelari presentate contro le Norme Tecniche di attuzione del PRIP ed il nuovo Regolamento di Pubblicità, accogliendo la sospensiva solo per la scadenza del 31 gennaio 2015, che ha prorogato fino all’udienza di merito del successivo 20 maggio (poi spostata di nuovo), non ravvisando quindi nessun imminente periculum in mora nella scadenza del 31 dicembre 2014, considerato che era stata prorogata per più di un anno fino all’esito delle gare (vedi http://www.vasroma.it/sono-19-i-ricorsi-al-tar-contro-la-normativa-tecnica-di-attuazione-del-prip-ed-il-nuovo-regolamento-di-pubblicita/).

A lei è stato affidato il compito di trattare gli “Aspetti giuridici degli affidamenti: riflessioni sulla A.P. del Consiglio di Stato 5/2013”.

Si è voluta ricollegare all’intervento che l’ha preceduta per fare una riflessione sugli affidamenti.

Per lei la sentenza del Consiglio di Stato n. 5/2013 costituisce un punto di arrivo, ma anche di partenza rispetto alla Giurisprudenza molto severa che c’è stata successivamente e che ha riconosciuto la necessità della gara superando la dicotomia tra autorizzazioni e concessioni.

Ha fatto una distinzione tra spazi pubblici e spazi privati, per i quali ultimi non vi è dubbio che il provvedimento è soltanto quello dell’autorizzazione.

La normativa non indica come fare: l’art. 3 del D.Lgs.n. 507/1993 rimanda ai Regolamenti comunali.

Si può sceglier tra due diverse opzioni: o spazi o singoli impianti.

Il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016, “sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto” ha cambiato la panoramica delle problematiche che si vengono a configurare.

Più complessa è la problematica della concessione di spazi pubblici: al riguardo ha riconosciuto la legittimità della procedura di assegnazione degli spazi pubblici, con la salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici sancita sia dal Consiglio di Stato che dal “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (emanato con D. Lgs. n. 42/2004).

Il problema riguarda un punto di ricaduta della Giurisprudenza che è quello di capire quale sia la finalità dell’attività pubblicitaria come fatto importante sull’economia, anche dal punto di vista della concorrenza: l’attività economica è privata ma con implicazioni pubbliche di carattere pubblicitario.

Si arriva così alla stessa conclusione a cui è arrivata la sentenza-del-tar-di-milano-n-1871-del-17-ottobre-2016 [con cui è stato respinto il ricorso della ditta “NUOVI SPAZI”, che a Roma è associata all’I.R.P.A. e che aveva impugnato il provvedimento di rigetto del Comune delle domande di autorizzazione all’installazione di n. 51 impianti pubblicitari bifacciali opachi di m. 2,70×2: il Comune ha reiterato nel provvedimento finale quanto già argomentato nel preavviso di diniego, con riferimento alla necessità di espletamento di apposita procedura ad evidenza pubblica quale criterio base per l’assegnazione di spazi/mezzi pubblicitari riconducibili “alla totalità indistinta di beni (immobili) pubblici, ndr.].

La dott.ssa Maria Cristina Quiligotti ha proseguito affermando che se partiamo dalla sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, che mette insieme autorizzazioni e concessioni, si vengono a determinare delle problematiche in sede di gara: ha al riguardo citato la direttiva n. 123 del 2006 (direttiva Bolkestein) ed anche le concessioni demaniali marittime relative agli stabilimenti balneari.

Per l’uno e l’altro caso abbiamo operatori del mercato che hanno fatto affidamenti che ora sono a rischio, ma la Giurisprudenza è decisamente orientata verso l’obbligo comunque della gara e sulla sua inderogabilità: al riguardo ha affermato di non sapere in che termini possa essere garantita riguardo a tali attività una flessibilità che consenta di salvare gli affidamenti degli operatori del settore.

Il Presidente Giuseppe Caruso ha voluto aggiungere una “piccola chiosa” all’intervento della Dott.ssa Quiligotti: ha fatto presente che si sta trattando di norme del tutto occasionali che sovrappongono problemi molto diversi.

È quindi intervenuto il dott. Giulio Veltri, consigliere di Stato, che ha trattato come da programma “L’impiantistica pubblicitaria come materia trasversale: legislazione esclusiva dello Stato (tutela della concorrenza) e concorrente (governo del territorio). I margini per un intervento legislativo regionale (governo del territorio)”.

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Giulio Veltri

Ha esordito chiedendosi qual sia la differenza con il regime su suolo privato: la Giurisprudenza consolidata è stata attenta quasi sempre al regime su spazi pubblici.

Ha citato l’art. 41 della Costituzione, secondo cui “l’iniziativa economica privata è libera”, e l’art. 16 della direttiva dell’Unione Europea 2006/123/CE, conosciuta come direttiva Bolkestein, sulla “libera prestazione di servizi”.

Allora secondo lui per le aree pubbliche il regime è comunque concessorio, anche se la normativa parla di “autorizzazione”.

La tendenza della Giurisprudenza è quella di regolamentare anche gli spazi privati, in termini di tutela dell’ambiente.

Ha chiarito che il tema che gli è stato affidato è il rapporto Stato-Regioni con i relativi margini ed ha fatto presente che la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata su alcune “materie” o meglio su “obiettivi” da raggiungere, che possono interferire con la legislazione regionale concorrente.

Nel 2002 ha considerato la materia “trasversale”, che dà un titolo espansivo allo Stato, cui spetta di dettare degli “standard minimi” che le Regioni possono innalzare “in melius”: nel 2013 ha invece sentenziato che le Regioni non possono innalzare gli standard minimi con riferimento all’inquinamento elettromagnetico ed ai gestori di telefonia mobile.

Il dott. Giulio Veltri ha parlato di bilanciamento della legge quadro che stabilisce i limiti massimi dell’inquinamento elettromagnetico come standard minimi inderogabili da parte delle Regioni, perché la ratio che li sottintende è quella di contemperare l’art. 32 della Costituzione (che obbliga lo Stato alla tutela della salute dei cittadini) con l’esigenza della comunicazione.

Per analogia lo stesso criterio dovrebbe essere applicato agli impianti pubblicitari, per i quali sussiste il problema di contemperare la tutela dell’ambiente con la libera concorrenza sul mercato.

Ha fatto però presente che se si tratta di “paesaggio” non ci può essere nessun contemperamento come nel caso dell’inquinamento elettromagnetico.

La Corte Costituzionale rimanda alla legislazione regionale il compito di pianificare, ma non in deroga agli standard base fissati dallo Stato.

L’esigenza che emerge è quella di una uniformità della disciplina con la tutela della concorrenza, “materia” dichiarata “trasversale” dalla Suprema Corte, “esclusiva” ed “escludente”.

In una prima fase la Corte Costituzionale è stata attenta alla disciplina concorrente, di dettaglio delle Regioni.

In una seconda fase è arrivata invece a negare ogni potestà regionale che contrasti con la concorrenza: ha citato al riguardo la pronuncia del 2009 sulla legittimità costituzionale della legge della Regione Campania, con cui ha dichiarato la assoluta prevalenza delle disciplina statale, affermando che la uniformità è un valore in sé.

Venendo specificatamente agli impianti pubblicitari il dott. Giulio Veltri ha provato a dare una sua risposta, precisando che riguardano anzitutto attività che devono essere libere e non soggette a condizionamenti.

Dal 1998 hanno avuto una incidenza sul tessuto urbano: ha ricordato che quando gli interessi pubblicistici interferiscono con il paesaggio la trasversalità della materia riguarda contemporaneamente il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, l’inquinamento visivo ed il governo del territorio.

Si è quindi chiesto se le Regioni possono disciplinare la “materia” senza creare conflitti trasversali, rispondendosi che in tema di “paesaggio” non ci sono dubbi, perché in tal caso la Regione può innalzare i livelli di tutela dal momento che non c’è “contemperamento” ed il procedimento autorizzatorio non implica secondo lui problemi di uniformità.

Quanto invece al problema più delicato della concorrenza, di fare accesso al mercato ai sensi della legge n. 59/2010, ha ricordato anche lui l’art. 16 della cosiddetta “Direttiva Bolkestein” e si è chiesto se le Regioni possono incrementare il livello di tutela della concorrenza: la risposta è stata no, perché la questione è di livello nazionale.

In questo caso a suo giudizio la norma c’è ed è quella di sfruttare la parte dell’art. 16 (relativamente a salute, ambiente ecc.) su cui la Regione può applicare una sua disciplina concorrente, relativa alla cosiddetta “premialità”.

Il Presidente del TAR Basilicata Giuseppe Caruso è quindi passato a dare seguito alla parte pubblica riferita ai casi di Roma e di Milano.

È intervenuto Giuseppe Scavuzzo per far sapere che trattandosi di un convegno che doveva riguardare soprattutto Roma aveva inizialmente avuto la disponibilità del dott. Francesco Paciello a trattare il “caso Roma”, che è stata poi però vietata dall’Assessore Meloni perché non riteneva “opportuno” che a parlarne fosse un Dirigete attualmente a capo del Dipartimento Sport: ha tenuto a precisare che ha allora pregato l’assessore di indicare il funzionario giusto, ma che si è sentito rispondere che non era “opportuno” nemmeno questo.

Ha fatto inoltre presente che si è resa indisponibile all’ultimo minuto anche la Dirigente del Comune di Milano Antonella Fiaschini.

Dopo il coffee break sono ripresi gli interventi, preceduti da un saluto del Presidente dell’Ordine degli Avvocati Mauro Vaglio.

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Mauro Vaglio con il Sindaco Gianni Alemanno

A trattare il “caso Roma” ed il “caso Milano” al posto dei due relatori programmati è stato l’avv. Marco Luzza, dell’Ufficio Legale dell’I.R.P.A., che ha redatto fra l’altro e firmato assieme all’avv. Giuseppe Scavuzzo ed al Presidente Alberto Nigrelli le osservazioni ai 15 Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari.

Ha esordito ricordando l’articolo pubblicato il 18 novembre scorso su “Il Messaggero” dal titolo “Roma. Impianti pubblicitari ridotti del 50 per cento” (vedi  http://www.vasroma.it/roma-impianti-pubblicitari-ridotti-del-50-per-cento/#more-46898): ha citato gli 8.000 mq. dichiarati per i servizio di Bike Sharing e le dichiarazioni rilasciate dall’Assessore Meloni riguardo ai 2 milioni e mezzo di investimento necessario per assicurare la realizzazione di 80 cisclostazioni.

Per un opportuno confronto ha affermato che a Milano nel disciplinare relativo al servizio di Bike Sharing gestito dalla CLEAR CHANNEL gli oneri ammontano a 5 milioni di euro con esenzione della tassa COSAP ed ha tenuto a far presente che per Roma si tratta di un servizio che non produce introiti [ignorando che il servizio offerto ai cittadini dovrebbe comunque costituire di per sé un introito per l’amministrazione capitolina, ndr.].

Ha continuato asserendo che Roma incasserà meno degli attuali 12 milioni di entrate da pubblicità.

Ha quindi voluto ricordare che l’art. 7 del nuovo Regolamento di Pubblicità assicura un titolo preferenziale agli impianti SPQR per 14.000 mq. di superficie espositiva.

Ha fatto sapere che come associazione I.R.P.A. lui e Scavuzzo hanno contestato i Piani di Localizzazione degli impianti pubblicitari con le osservazioni trasmesse a suo tempo, di cui ha voluto far conoscere il solo ed unico impianto SPQR concesso nel 1° Municipio alle ditte del “riordino”, il qualche impianto in più concesso nel 2° Municipio ed i soli 3 impianti SPQR concessi nel XV Municipio, a fronte dei 33 concessi al Bike Sharing.

Ai fini di una informazione corretta mi corre l’obbligo di far sapere che l’avv. Mauro Luzza ha strumentalmente evidenziato solo gli impianti SPQR di mt. 3 x2, tacendo degli altri formati consentiti, per cui nel I Municipio gli impianti SPQR sono in tutto 322, mentre nel II Municipio ammontano a 488 e quelli previsti nel XV Municipio sono 132 (di cui solo 2 e non 3 di formato 3×2) mentre quelli previsti non solo per il Bike Sharing, ma anche per elementi di arredo urbano sono 68.

Debbo infine mettere in grande evidenza il quadro generale oggettivo che prevede 1.341 impianti riservati sia al Bike Sharing che ad elementi di arredo urbano, a fronte di 3.471 impianti SPQR, 4.226 impianti privati su suolo pubblico e 415 impianti riservati al circuito “cultura e spettacolo”, tutti e tre gestibili dalle ditte operanti a Roma.

L’avv. Marco Luzza ha proseguito parlando di grave impatto a livello occupazionale, anche se non soprattutto per il fatto che il Bihe Sharing si aggiudica gli spazi migliori con impianti di dimensioni anche superiori a quella massima di mt. 3 x 2, dal momento che i cosiddetti “impianti speciali” possono essere anche di dimensioni di mt. 3,20 x 2,40 ed avrebbero violato la deliberazione del Consiglio Comunale n. 609 del 3 aprile 1981, che consente più o meno dentro il Grande Raccordo Anulare solo formati massimi di 6 mq..

Ha fatto inoltre presente che con le osservazioni ai Piani di Localizzazione l’I.R.P.A. ha anche lamentato collocazioni in violazione sia del Codice della Strada che del “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, oltre che impianti collocati su aree a verde pubblico: ha citato a tal ultimo riguardo impianti collocati in Viale Mazzini [dove fra l’altro è stato ricollocato illecitamente un impianto della ditta “SCI” da me segnalato ma a tutt’oggi non sanzionato].

Ha fatto presente che non c’è al riguardo Giurisprudenza: ha citato una non meglio precisata Ordinanza forse del TAR.

Ha concluso il suo intervento sperando che il Comune possa modificare la sua pianificazione: ha approfittato di questa chiusa il Presidente del Tar Basilicata Giuseppe Caruso per fare una battuta che ha strappato gli applausi della sala e che è stata a mio giudizio di cattivo gusto perché portata da chi ricopre una carica istituzionale come la sua (“Ecco perché il Comune non ha voluto partecipare”).

Fuori del programma del convegno è voluto intervenire l’avv. Filippo Cece, che ha esordito affermando che il suo punto di vista e apporto è quello delle aziende e della problematica della loro tutela.

A suo giudizio l’interesse da contrapporre alla normativa in vigore è quello di salvaguardare le piccole e medie imprese: l’impresa inserzionista è fisicamente legata al territorio, per cui se non si vuole consegnare questo mercato alla multinazionale bisogna garantire le imprese operanti a Roma.

Pur nel riconoscimento della necessità del contingentamento e delle gare, il regime concessorio di un’area non prescinde secondo lui dal regime autorizzatorio sulla natura processuale: a tal riguardo ha fatto un accenno polemico alla assenza del Comune.

Ha affermato che il Piano Territoriale Paesistico Regionale (PTPR) prevede delle zona di minor tutela con possibilità di installarvi degli impianti: ha parlato al riguardo do un “limbo di incertezza“, forse solo sua, visto che a me non risultano ambiti di paesaggio per i quali le Norme del PTPR prevedano zone di minor tutela.

Ha fatto poi il caso della via Appia che è passata dall’ANAS al Comune che non rilascerebbe alcuna autorizzazione.

Ha quindi fatto riferimento ad alcune recentissime pronunce del Consiglio di Stato che avrebbero ribadito l’obbligo delle gare, lamentando per contro che così si comprime il diritto relativo al mercato dell’impresa e che bisogna analizzare in quale contesto questo principio si attua.

Ha quindi parlato di titoli abilitativi uguali far di loro ma con diverse ingerenze sul territorio: uno dei corti circuiti che si vengono a determinare è secondo lui quello di sovrapporre al procedimento autorizzatorio il livello edilizio, con la reintroduzione di regimi superati, come quello della autorizzazione edilizia (ha citato al riguardo il caso emblematico del Comune di Tortona).

Ha parlato di documento della D.I.A. e della S.C.I.A. che comportano oneri altissimi per le ditte.

Riguardo alla tutela ambientale ha trovato invece timide se non nulle pronunce del TAR.

Ha quindi detto che un punto di vista oggettivo è la coesistenza dei sue regimi (concessorio ed autorizzatorio).

Ha quindi fatto riferimento alle pronunce contro il silenzio-assenso del Comune, costretto all’adempimento, per affermare subito dopo che “qui casca l’asino”, perché l’art. 31 del Codice del Processo Amministrativo (relativo alla “Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità”) consente di pronunciarsi sul merito del rilascio delle autorizzazioni, diversamente dal regime concessorio.

Il Presidente del TAR Basilicata Giuseppe Caruso l’ha interrotto per chiosare che “il bando lo vince non chi merita, ma chi dichiara di essere in regola”.

Riprendendo il suo intervento l’avv. Filippo Cece ha voluto far presente, a difesa delle pubbliche amministrazioni, che è difficile applicare le regole: se si contingenta e si va alle gare, c’è da fare i conti con l’obbligo di rispettare la normativa sugli appalti e di subire il controllo dell’ANAC.

Ha voluto riferirsi ad una sentenza del TAR Lombardia sull’abusivismo, che condanna la pubblica amministrazione a porre in essere tutte le azioni tese a rimuovere gli impianti abusivi sul territorio.

Si è chiesto infine se le aziende possono chiedere un risarcimento a fronte del danno sul mercato che ricevono ed ha chiuso affermando che al riguardo c’è contrasto di pronunce.

Il Presidente del Tar Basilicata Giuseppe Caruso ha chiesto a questo punto se fra i partecipanti c’era chi volesse intervenire nel dibattito, prima di arrivare alle conclusioni come da programma, che sono state assegnate all’avvocato Xavier Santiapichi in sostituzione dell’avv. Angelo Clarizia, perché ammalatosi nel frattempo [l’avv. Angelo Clarizia ha patrocinato i due ricorsi della ditta “SCI” che hanno impugnato sia il PRIP che il nuovo Regolamento di Pubblicità, ndr.].

Come ho alzato la mano per prenotarmi per intervenire, l’avv. Xavier Santiapichi si è sentito in dovere di far presente che il convegno ha visto la partecipazione della “creme de la creme” per cui ha invitato “ad evitare polemiche”.

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Xavier Santiapichi

Quando mi è stato consentito di intervenire ho voluto augurarmi che l’invito dell’avv. Santiapichi non fosse riferito specificatamente al sottoscritto e che con il mio intervento intendevo portare un contributo utile al dibattito: a tal ultimo riguardo ho fatto presente che non sono 62.000 i mq. complessivi previsti dai Piani di Localizzazione perché è stata lasciata una riserva di ulteriori 10.000 mq..

Apprezzando in particolare l’intervento del consigliere del TAR Quiligotti, riferendomi alla sua dicotomia tra autorizzazioni e concessioni, ho fatto presente che il Comune di Roma ha risolto la relativa problematica, dopo avere approvato il PRIP, passando come 1° fase attuativa alla assegnazione concessoria degli spazi pubblici individuati dai 15 Piani di Localizzazione in cui installare i futuri impianti pubblicitari, demandando il rilascio delle autorizzazioni di ogni singolo impianto alla 2° e definitiva fase di espletamento dei bandi di gara.

Ho tenuto a mettere in evidenza che nella descrizione del “caso Roma” è stato evitato di parlare soprattutto della storica  Sentenza n. 2283 del 22 febbraio 2016, con cui sono stati rigettati tutti i ricorsi presentati dalle ditte pubblicitarie richiamando anche la Sentenza del Consiglio di Stato n. 5/2013, recepita anche proprio perché da me citata nell’intervento ad opponendum fatto a fianco del Comune, dal momento che – pur se riferita al Comune di Caltanissetta – per analogia si adattava perfettamente a quanto deciso dal Comune di Roma, di considerare così scaduti al 31 dicembre 2014 tutti i titoli abilitativi e di dover procedere a bandi gara per il rilascio di tutte le future autorizzazioni e concessioni.

Ha chiesto ed ottenuto di intervenire Alberto Dinoi, Development Manager della ditta CLEAR CHANNEL, per fare 2 sole precisazioni.

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Alberto Dinoi

Ha fatto presente che non erano corretti i dati forniti sul Bike Sharing di Milano e che non è comunque proponibile il confronto tra Roma e questa città.

Come 2° precisazione ha dichiarato di trascurare il problema del legittimo affidamento, chiedendosi piuttosto che peso può avere il fatto statistico che 4 gare su 5 vanno deserte.

L’avv. Santiapichi ha rigirato la domanda a Giuseppe Caruso, a cui è sembrato di capire che c’è una mancanza di coordinamento tra norme e Regolamento comunale.

È intervenuto a sua volta il consigliere di Stato Giulio Veltri che ha provato ad affrontare il quesito, facendo riferimento alla proroga concessa agli stabilimenti balneari, che porta al presupposto sbagliato di una concessione eterna, per affermare che il problema non è affidabile ai singoli Comuni.

A suo giudizio non bisogna dare nessun vantaggio al concessionario uscente, ma prevedere invece in che misura garantire il legittimo affidamento: non è comunque possibile prevedere una remunerazione al concessionario uscente per un diritto di esistenza “eterna”.

Per l’avvocato Santiapichi è comunque improprio il confronto con gli stabilimenti balneari: a suo giudizio bisogna invitare i magistrati ad una riflessione su un possibile disegno di legge di riforma regionale, in cui si dica che le gare le facciamo ad esempio su micro lotti (“non me ne voglia il rappresentante della CLEAR CHANNEL”).

Ha aggiunto che riguardo al regime transitorio va disciplinato il recupero degli investimenti fatti dalle ditte, precisando che è stata messa ormai una pietra tombale sull’obbligo delle gare.

Ha chiesto ed ottenuto di intervenire una rappresentante di una ditta non precisata, che ha affermato di voler rimanere ad operare sul territorio e non di essere remunerata e basta.

Le ha replicato il dott. Giulio Veltri per dirle che non è possibile nella maniera più assoluta evitare le gare.

Ho chiesto ed ottenuto a questo punto di poter intervenire nuovamente per dare come corretta informazione che il nuovo Regolamento di Pubblicità prevede 10 lotti in tutto, per cui – togliendo quello dedicato al Bike Sharing e quello riservato agli impianti SPQR – rimangono ancora 8 bandi di gara a cui le ditte che hanno operato storicamente a Roma possono partecipare anche in Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.) , con una certa garanzia di aggiudicarsi almeno una o più gare, tenendo presente anche la possibilità di avvalersi del mercato libero degli impianti pubblicitari in proprietà privata.

Ho voluto far presente che lo sbandierato rischio di monopolio da parte di qualche multinazionale si evita facilmente se l’amministrazione pubblica pone limiti ben precisi nei bandi di gara, con possibilità di aggiudicazione ad esempio di un solo lotto.

Ho tenuto a ricordare che con Deliberazione della Giunta Capitolina n. 343 del 23 ottobre 2015 sono stati dettati i criteri di ammissibilità alle gare, che dovranno essere comunque tutte di uguale appetibilità economica: ho al riguardo messo in evidenza che come associazione ambientalista VAS è portatrice di interessi diffusi, in cui sono ricompresi anche gli interessi delle ditte pubblicitarie per assicurare i quali non si può però cadere nel rischio di danneggiare la libera concorrenza.

Ho quindi fatto presente che nelle osservazioni presentate ai Pani di Localizzazione abbiamo proposto assieme a “Basta Cartelloni” di garantire almeno tre circuiti (Bike Sharing, SPQR e impianti privati su suolo pubblico) riservando ad ognuno di loro in esclusiva almeno tre strade in ogni Municipio con il maggior flusso di traffico e quindi con la migliore rendita di posizione: in tal modo si eviteranno che vadano deserte le gare.

Ha chiesto ed ottenuto di intervenire una persona che facendo riferimento al contemperamento degli interessi ha chiesto di sapere cosa succede dopo il 4 dicembre: ridendo ognuno dei relatori ha evitato di rispondere per non esporsi sul referendum.

Ha preso la parola il sig. Strippoli titolare di una azienda di Bari, che riguardo alla facoltà di procedere alla indizione di lotti ha fatto presente come si possa coniugare quest’obbligo anche con i piccoli Comuni di 5-10.000 abitanti, parcellizzando tutto.

È intervenuta poi un’altra non dichiarata persona per fare riferimento al Canone Iniziative Pubblicitarie ed alla imposta sulla pubblicità sulla strade extraurbane, come nel caso di Salerno): ha fatto delle precisazioni al riguardo l’avv. Giuseppe Scavuzzo, ricordando che a Roma è stata soppressa l’imposta sulle pubblicità.

Ha preso alla fine la parola l’avv. Santiapichi per tirare le conclusioni del convegno “andando oltre la piacevolissima occasione di questo incontro”.

Riguardo al referendum ed al rapporto Stato-Regioni, ha precisato che l’eventuale disegno di legge regionale sarebbe comunque un provvedimento attuativo.

Come passaggi riassuntivi ha voluto ricordare la divisione in lotti, con successivo approfondimento sulla loro estensione, evitando di parcellizzare troppo il mercato, cercando caso mai di uniformarlo (ad esempio con centrali di committenza di 20.000 abitanti).

Bisogna infine tutelare a suo giudizio il sistema pianificatorio e disciplinare infime le sponsorizzazioni.

Il convegno si è chiuso con un lunch buffet.

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

 

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