Le centrali elettriche a carbone provocano più danni che benefici ai poveri, anche senza prendere in considerazione gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici. È quanto emerge dal rapporto “Beyond Coal: Scaling up clean energy to fight poverty” presentato da the Overseas Development Institute (Odi), Cafod, Christian Aid ad alter 9 organizzazioni alla 22esima conferenza delle parti dell’Unfccc che si conclude oggi a Marrakesh. Eppure, fa notare il rapporto, nonostante gli impegni assunti con l’Accordo di Parigi, il mondo potrebbe oltrepassare la soglia dei 2° C di riscaldamento se verranno costruite solo un terzo delle centrali a carbone previste. E se il mondo non ce la farà a centrare questo obiettivo, «i risultati sarebbero disastroso per la lotta globale contro la povertà». L’odi evidenzia che «attualmente l’industria del carbone sostiene che sviluppare l’utilizzazione del carbone è fondamentale per la lotta contro la povertà estrema e per migliorare l’accesso all’energia per miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo. In realtà, è vero il contrario. L’impegno globale per sradicare la povertà estrema e la povertà energetica entro il 2030 non richiede una tale espansione ed è incompatibile con la stabilizzazione del clima della Terra. L’evidenza è chiara: una soluzione duratura per la povertà richiede che le economie più ricche del mondo rinunciano al carbone e non dobbiamo e possiamo porre fine alla povertà estrema, senza l’espansione precipitosa di nuova energia a carbone o a svilupparla». Uno degli autori del rapporto, Ilmi Granoff, ha detto all’IPS che «il carbone consolida la povertà, contrariamente a quanto sostenuto dall’industria del carbone che il combustibile fossile contribuisce alla crescita economica». Granoff, un ricercatore del Doi, riconosce che «la chiusura delle centrali a carbone ha causato difficoltà economiche localizzate», ma sottolinea che «La nostra ricerca ha scoperto che l’energia rinnovabile globale dà più intensità di posti […]