Referendum – Conoscere per votare: il “regionalismo differenziato”

 

art-116

Il vigente articolo 116 della Costituzione dispone testualmente:

Art. 116

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallè e d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. 

La Regione Trentino-Alto Adige/ Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. 

Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119.  

La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

Il disegno di legge costituzionale S 1429, presentato dal Presidente Renzi e dal Ministro Boschi, prevedeva una modifica dell’art. 116 contenute all’art. 25, che disponeva testualmente:

Art. 25

(Modificazioni all’articolo 116 della Costituzione) 

1. All’articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è abrogato.

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: « L’articolo 25 modifica l’articolo 116 della Costituzione, sopprimendo il terzo comma dell’articolo, che attribuisce ulteriori forme e condizioni di autonomia per le regioni ordinarie in specifiche materie.

Come già accennato, tale intervento è connesso alla parallela previsione della facoltà della legge statale di delegare materie o funzioni di competenza esclusiva dello Stato ad una o più regioni, contenuta nel nuovo comma quinto dell’articolo 117 della Costituzione.

Tale soppressione non costituisce quindi una limitazione del possibile ricorso a forme e livelli differenziati di autonomia regionale, in quanto il procedimento eliminato viene sostituito con lo strumento previsto dal citato articolo 117, quinto comma, che potrebbe con maggior flessibilità attuare lo scopo che le norme vigenti non hanno sin qui consentito di realizzare.» 

Il disegno di legge si componeva di 35 articoli che modificavano 44 articoli della Costituzione.

Il testo finale approvato si compone invece di 41 articoli, che hanno modificato 47 articoli della Costituzione: quello dedicato all’art. 116 è diventato l’articolo 30 che ha il seguente testo:

Art. 30.

(Modifica all’articolo 116 della Costituzione)

1. All’articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è sostituito dal seguente: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.  

La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata». 

Con riferimento all’articolo 116 le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni: «L’articolo 30 modifica il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, in­trodotto con la riforma del 2001, che disciplina l’ipotesi di estensione di forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d. “regiona­lismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico” o anche “federalismo differen­ziato” o “a velocità variabile”, sulla base del modello spagnolo).

L’art. 116, terzo comma, della Costituzione consente attualmente di attribuire alle Regioni a statuto ordinario – ferme restando le particolari forme di autonomia delle Regioni a statu­to speciale, di cui ai primi due commi del medesimo articolo 116 (non modificati dal testo di legge in commento) – ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti:

  • tutte le materie che l’art. 117 Cost., terzo comma, attribuisce alla competenza legisla­tiva concorrente tra Stato e Regioni;
  • un ulteriore, limitato, numero di materie riservate dallo stesso art. 117 (secondo com­ma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato:

– l’organizzazione della giustizia di pace;

– la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

L’attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge del­lo Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali: la legge deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti e il relativo contenuto è definito d’intesa con la Regione interessata.

Si tratta di quello che è stato definito appunto “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre.

La Costituzione vigente delinea così un sistema che consente tre diversi livelli di autonomia regionale:

  •  le Regioni a statuto speciale, con forme di autonomia definite dai rispettivi statuti ap­provati con legge costituzionale (art. 116, primo comma, Cost.);
  • le Regioni a statuto ordinario che non abbiano attivato la procedura ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost., le cui potestà legislative, uguali per tutte, sono quelle stabilite dall’art. 117 Cost.;
  • quelle Regioni a statuto ordinario che abbiano ottenuto, ex art. 116, terzo comma, Cost., forme speciali di autonomia, che possono essere diverse da Regione e Regione.

Il procedimento previsto dall’art. 116, terzo comma, non ha peraltro mai tro­vato completa attuazione (v. infra).

L’impianto vigente del terzo comma dell’articolo 116 permane, seppur con alcune significative modifiche.

Innanzitutto viene ridotto l’ambito delle materie nelle quali possono essere attribuite particolari forme di autonomia alle regioni ordinarie.

Nel testo vigente ciò è possibile per tutte le materie di competenza concorrente di cui al terzo comma dell’articolo 117 e in un novero specifico di materie di competenza esclusiva dello Stato.

Nella nuova formulazione, invece, manca il riferi­mento al terzo comma dell’art. 117 – integralmente sostituito con la eliminazione della competenza concorrente – mentre è mantenuto e ampliato il riferimento ad alcune lettere del secondo comma, peraltro riformulate dallo stesso testo di legge di riforma.

Le materie oggetto del nuovo articolo 116, terzo comma, sono dunque:

– organizzazione della giustizia di pace;

– politiche sociali;

– istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e ricerca scientifica e tecnologica;

– politiche attive del lavoro; istruzione e formazione professionale,

– commercio con l’estero:

– tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; attività culturali e turismo;

– governo del territorio.

Su alcune delle materie richiamate, lo Stato ha una competenza esclusiva piena, su altre ha una competenza limitata alle “disposizioni generali e comuni”.

Rispet­to a queste ultime, la formulazione del terzo comma non prevede il riferimento alle “disposizioni generali e comuni” per l’istruzione e formazione professionale ed il governo del territorio, mentre lo prevede per le politiche sociali.

Non sembra peraltro che da questa differenza terminologica possano discendere conseguenze pratiche, in quanto la maggiore autonomia delle regioni può essere riconosciuta solo nella parte di materia di competenza statale.

In sintesi, rispetto al testo vigente della Costituzione:

a) viene confermata la possibilità di attribuire forme e condizioni di partico­lare autonomia alle regioni nelle seguenti materie:

organizzazione della giustizia di pace;

– istruzione, ordinamento scolastico; ricerca scientifica e tecnologica;

– commercio con l’estero;

– tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; attività culturali;

– governo del territorio;

 

b) è introdotta la possibilità di attribuire le forme e condizioni di particolare autonomia nelle materie:

– istruzione universitaria e politiche attive del lavoro nel testo attuale non con­siderate rientranti tra le materie di competenza concorrente;

– politiche sociali, istruzione e formazione professionale e turismo, in conseguenza del fatto che non si tratta più di materie di competenza residuale regionale ma di materie di competenza esclusiva statale, limitatamente alle disposi­zioni generali e comuni; 

c) non possono più essere oggetto di attribuzione di particolari forme e con­dizioni di autonomia le seguenti materie:

– rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;

– tutela e sicurezza del lavoro (per la parte non rientrante nelle politiche attive del lavoro);

– professioni;

– sostegno all’innovazione per i settori produttivi;

– tutela della salute;

– alimentazione;

– protezione civile;

– porti e aeroporti civili;

– grandi reti di trasporto e di navigazione;

– ordinamento della comunicazione;

– produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;

– previdenza complementare e integrativa;

– coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

– casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;

– enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

In secondo luogo, ai fini dell’attribuzione di autonomia, è esplicitata una nuova condizione in base alla quale, oltre al rispetto dei principi di autonomia finanziaria degli enti territoriali sanciti dall’art. 119 Cost., è necessario che la re­gione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.

Il testo vigente dell’articolo 116 richiede solo il rispetto dei principi di cui all’art. 119.

Si ricorda in proposito che la cd. legge sul federalismo fiscale (legge 5 maggio 2009, n. 42) prevede che con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all’articolo 119 della Costituzione e ai principi della medesima legge sul federalismo fiscale (art. 14, co. 2).

Per quanto concerne il requisito dell’equilibrio di bilancio richiesto dall’arti­colo in esame ai fini dell’attribuzione di autonomia alle regioni, si rammenta che attualmente esso è disciplinato dall’articolo 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 [Si tratta di una legge c.d. rinforzata, in quanto approvata a maggioranza assoluta dei componenti di cia­scuna Camera (come stabilito dall’articolo 1, sesto comma, dell’articolo 81 Cost. come sostituito dalla legge costituzionale n.1/2012), e, conseguentemente, modificabile solo con le medesime modalità, come precisato dall’articolo 1, comma 2, delle legge medesima], recante disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio istituito con la legge costituzionale n.1/2012.

In particolare l’art. 9 della legge n. 243/2012 prevede che i bilanci delle regioni e degli altri enti territoriali si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di ren­diconto, registrano:

a) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali;

b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti.

Il riferimento nell’ambito dell’articolo 116 al requisito dell’equilibrio di bilancio pone peraltro una questione interpretativa in ordine al fatto se sia sufficiente che tale requisito sussista al momento della approvazione della legge che riconosce l’ulteriore autonomia o se non sia invece necessario che tale requisito permanga anche successivamente, pena la perdita dell’autonomia riconosciuta.

Va segnalato come un altro riferimento all’equilibrio di bilancio delle regioni sia recato anche dall’articolo 119, primo comma, della Costituzione, nel quale si dispone che le stesse hanno autonomia di entrata e di spesa nel rispetto dell’equili­brio dei relativi bilanci, senza tuttavia ivi precisare, a differenza di quanto dispone l’articolo in esame, che si tratta di equilibrio tra le entrate e le spese.

Si tratta peraltro di una differenza che sembrerebbe meramente terminologica (“equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” nell’articolo 116 ed “equilibrio” senza ulteriori specificazioni nell’articolo 119), atteso che, in ogni caso, la definizione dell’equilibrio di bilancio risulta stabilita dall’articolo 9 della legge n. 243/2012.

Una terza modifica riguarda il procedimento di attuazione: in particolare, l’ini­ziativa della regione interessata non è più presupposto necessario per l’attivazione del procedimento legislativo aggravato all’esito del quale sono attribuite le condi­zioni di autonomia, ma solo condizione eventuale: il nuovo testo dispone infatti che la legge è adottata “anche su richiesta delle regioni” (anziché “su iniziativa della Regione interessata”). 

Infine, l’attribuzione delle forme speciali di autonomia avviene con legge “approvata da entrambe le Camere” (si tratta, pertanto, di una delle ipotesi di legge bicamerale di cui al nuovo art. 70, primo comma, Cost.) senza però ri­chiedere la maggioranza assoluta dei componenti (come previsto attualmente), mentre resta necessaria la già prevista intesa tra lo Stato e la regione interessata.

Per quanto riguarda le iniziative di attuazione dell’articolo 116, terzo comma, adottate, un primo tentativo fu effettuato dalla regione Toscana nel 2003, in materia di beni culturali [Decreto della Giunta regionale della Toscana 24 marzo 2003, n. 1237, Autonomia speciale nel settore dei beni culturali e paesaggistici.].

Successivamente diverse Regioni, al termine di percorsi avviati nel corso dell’anno 2006, hanno formalizzato iniziative di devoluzione ai sensi dell’art. 116, terzo comma, Cost..

Il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato – il 3 aprile 2007 – una Deliberazione (allegato n. 2) n. VIII/367 (pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia n. 17, serie ordinaria del 23 aprile 2007), che impegna il Presidente della Regione ad avviare il confronto con il Governo per definire e sottoscrivere un’intesa, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con riferimento ad ambiti relativi a dodici materie.

Il 18 dicembre 2007 il Consiglio regionale del Veneto ha approvato una delibera (n. 98) di approvazione (allegato n. 3) del Documento tecnico di proposte ai sensi dell’art. 116, terzo comma Cost., relativamente a quattordici materie [Istruzione; tutela della salute; tutela e valorizzazione dei beni culturali; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; potere estero della Regione; organizzazione della giustizia di pace; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; ordinamento della comunicazione; previdenza complementare ed integrativa; protezione civile; infrastrutture; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale; governo del territorio; lavori pubblici.  ] nonché del Provvedimento consiliare con cui si dà mandato al Presidente di negoziare con il Governo, riferendo al Consiglio stesso.

Il 29 luglio 2008 il Consiglio regione del Piemonte ha approvato una delibera (allegato n. 4) di attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione per il riconoscimento di un’autonomia differenziata della Regione Piemonte su sei materie [Beni paesaggistici e culturali; infrastrutture; università e ricerca scientifica; ambiente; organizzazione sa­nitaria; previdenza complementare].

Inoltre, per quanto concerne il livello statale, il 30 ottobre 2007 il Consiglio dei Ministri aveva avviato l’esame preliminare del disegno di legge per l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione.

Era stata firmata un’intesa tra Governo e Regione Lombardia con la quale si avviava il negoziato per verificare “le condizioni di trasferibilità di dodici competenze dallo Stato nazionale al governo regionale”.

Ultimo e più recente tentativo diretto a prevedere un procedimento per giungere all’attua­zione all’art. 116, comma terzo, della Costituzione è contenuto nella legge di stabilità 2014 (art. 1, co. 571, L. 147/2013).

In tale sede, si prevede, contestualmente ad un’ulteriore revisione dei contenuti delle au­tonomie speciali (co. 570), una procedura per tutte le regioni a statuto ordinario finalizzata all’attuazione della disposizione costituzionale fino a quel momento non implementata (co. 571).

La procedura in questione si articola sulla previsione di un termine di sessanta giorni entro il quale il Governo è tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell’inte­sa.

Il termine decorre dalla data del ricevimento delle iniziative e l’obbligo di attivazione si traduce nel dare seguito all’impulso conseguente all’iniziativa regionale finalizzata all’inte­sa [Il termine di sessanta giorni trova applicazione anche per le iniziative di intesa presentate dalle regioni prima dell’entrata in vigore della legge di stabilità.

Inoltre il riferimento al principio di continuità degli organi e delle funzioni comporta l’applicazione del procedimento anche a quelle iniziative che siano state deliberate da componenti di organi regionali che non ne siano più membri e, quindi, anche da maggioranze eventual­mente non più attuali. In tal caso, il termine decorre dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità].

Ad oggi non risulta che si sia dato seguito a tali disposizioni.

Nuove iniziative sono state di recente promosse dalle Regioni Veneto e Lombardia.

In Veneto è stata approvata la legge regionale n. 15 del 2014 che prevede un referendum consultivo sull’autonomia del Veneto. In particolare, la legge autorizza il Presidente della Giunta regionale ad aprire un «negoziato» con il Governo, allo scopo di «definire il conte­nuto di un referendum consultivo finalizzato a conoscere la volontà degli elettori del Veneto circa il conseguimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto» (art. 1, co. 1).

La legge prevede altresì che qualora, entro centoventi giorni tale negoziato «non giunga a buon fine», il Presidente della Giunta «è autorizzato ad indire un referendum consultivo per conoscere la volontà degli elettori del Veneto» (art. 2, comma 1), in merito a cinque quesiti:

«1) “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”;

2) “Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga uti­lizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;

3) “Vuoi che la Regione man­tenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;

4) “Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;

5) “Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”».

Chiamata a pronunciarsi sul ricorso promosso dal Governo, la Corte costituzionale con la sentenza n. 118 del 2015 ha dichiarato illegittimi tutti i quesiti referendari, ad eccezione del primo, relativo alle condizioni particolari di autonomia.

In merito, la Corte, riferendosi al tenore letterario del quesito che ripete testualmente l’espressione usata nell’art. 116, terzo comma, Cost., pur non specificando gli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale, ha ritenuto doversi intendere che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possano riguardare solo le materie indicate nell’art. 116, terzo comma. Cost.

In secondo luogo, ha avuto modo di osservare che non vi è alcuna sovrapposizione tra la consultazione popolare regionale e il procedimento di cui all’art. 116, commi terzo e quarto, Cost., che pertanto potrà svolgersi inalterato, nel caso in cui fosse effettivamente attivato. Secondo la Corte, il referendum consultivo previsto dalla disposizione regionale impugnata si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito in Costitu­zione.

Lo stesso atto regionale di iniziativa di cui all’art. 116, comma terzo, Cost., come la procedura per la sua adozione da parte degli organi regionali competenti, rimane giuridica­mente autonomo e distinto dal referendum, pur potendo essere politicamente condizionato dal suo esito.

La Corte ha altresì precisato che, d’altra parte, la consultazione popolare, qualora avvenisse, non consentirebbe di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzio­nalmente necessari, ivi compresa la consultazione degli enti locali.

Una analoga iniziativa è stata intrapresa in Lombardia, il cui Consiglio regionale, nella seduta del 17 febbraio 2015, ha deliberato di indire un referendum consultivo regionale per l’espressione del voto sul seguente quesito: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel qua­dro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?”.

Nelle premesse del provvedimento, si precisa che “l’espressione favorevole della popolazione regionale sul quesito è condizione ritenuta indispensabile e necessaria per l’assunzione di un provvedimento specifico del Consiglio volto alla richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia nelle materie individuate dal Consiglio regionale, con apposito atto, a seguito del quale sarà avviato il confronto con il Governo per definire e sottoscrivere una intesa, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione, nel quadro dell’unità nazionale”.

Successivamente, la Giunta regionale ha approvato il regolamento 10 febbraio 2016, n. 3 che disciplina le modalità di svolgimento del referendum consultivo mediante voto elettronico.

Di notevole rilievo è inoltre la previsione dell’articolo 39, comma 13, che dispone l’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, Cost., alle Regioni a sta­tuto speciale e alle province autonome, a decorrere dalla revisione degli statuti, con una disciplina transitoria per il periodo precedente alla suddetta revisione.

Si tratta di una significativa novità rispetto all’impianto complessivo dell’arti­colo 116, terzo comma, e, più in generale, rispetto ai principi che regolano la spe­cialità, in quanto le forme di particolare autonomia delle Regioni speciali e delle province autonome potranno essere riconosciute non solo dai rispettivi statuti, approvati con legge costituzionale (art. 116, primo comma), ma anche, sia pure limitatamente a determinate materie, da una legge ordinaria (bicamerale), previa intesa tra lo Stato e la Regione interessata (art. 116, terzo comma).

In tal modo, “l’articolo 116, terzo comma, che nel vigente testo costituzionale segna la strada per un possibile avvicinamento delle Regioni a statuto ordinario alle Regioni a statuto speciale, potrà invece costituire la base per un ulteriore am­pliamento delle competenze delle autonomie speciali, che oltretutto hanno una maggiore consuetudine con la procedura pattizia delineata dalla disposizione co­stituzionale.” [Cfr. il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l’attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni parite­tiche previste dagli statuti medesimi, approvato dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali nella seduta del 4 novembre 2015 (Doc. XVII-bis, n. 3, pag. 103)]

Per una disamina della disciplina applicabile alle Regioni speciali, si rinvia al commento all’articolo 39, comma 13.

Circa l’iter parlamentare, si ricorda che il disegno di legge governativo, nel testo originario, disponeva l’abrogazione dell’articolo 116, terzo comma, e prevedeva che, con legge del­lo Stato, approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camera, l’esercizio della funzione legislativa potesse essere delegato ad una o più Regioni, anche su richiesta delle stesse e per un tempo limitato, previa intesa con le Regioni interessate. In tali casi la legge disciplina l’esercizio delle funzioni amministrative nel rispetto dei principi degli articoli 118 (funzioni amministrative) e 119 (autonomia finanziaria degli enti territoriali) (AS 1429, art. 117, quinto comma, Cost., come sostituito dall’art. 26).

La delega poteva avere ad oggetto un ventaglio molto ampio di materie, potendo riguardare tutte le materie attribuite alla competenza esclusiva statale ad eccezione di: ordine pubblico e sicurezza, salvo la polizia amministrativa locale; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giu­risdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa, salvo l’organizzazione della giustizia di pace.

Secondo la relazione di accompagnamento al disegno di legge, la sostituzione tra i due strumenti era funzionale all’introduzione di maggiore flessibilità per garantire condizioni differenziate di autonomia, risultato che le norme vigenti non hanno sin qui consentito di realizzare. Ciò in quanto, come già detto, il procedimento previsto, piuttosto articolato, non è mai stato applicato fino alla fase finale.

Nel corso della prima lettura al Senato, è stato reintrodotto il terzo comma dell’articolo 116, con modifiche concernenti le materie e la procedura di approvazione della legge.

Nei successivi passaggi parlamentari si è nuovamente intervenuti sulle materie.

La disposizione dell’articolo 39, comma 13, sull’estensione dell’articolo 116, terzo comma, alle Regioni speciali, è stata invece introdotta nel corso dell’ultima lettura al Senato.»

iter-art-116-1

iter-art-116-2

iter-art-116-3

modifiche-art-116

Il disegno di legge costituzionale S 1429 correlava l’art. 116 alle seguenti “Disposizioni transitorie” dettate ai commi 12 e 13 dell’art. 33.

Art. 33

(Disposizioni transitorie)

12. Le leggi delle regioni adottate ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi dell’articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, come modificati dall’articolo 26 della presente legge costituzionale.

13. Le disposizioni di cui al Capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano sino all’adeguamento dei rispettivi statuti. 

Nella relazione al disegno di legge le modifiche sono state spiegate nel seguente modo: «Per quanto riguarda le leggi delle regioni adottate a titolo di competenza concorrente e residuale, ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nel testo vigente alla data di entrata in vigore della riforma, si stabilisce che esse continuino ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi del nuovo riparto delle competenze legislative previsto dal disegno di legge.

Infine, il comma 13 dell’articolo 33 reca la «clausola di salvaguardia» per le autonomie speciali, prevedendo che le novelle introdotte nel titolo V della parte seconda della Costituzione non si applichino alle re-gioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano sino all’a-deguamento dei rispettivi statuti.»

Nel testo definitivo approvato i commi suddetti sono diventati il comma 13 ed il comma 14 dell’art. 39.

Art. 39. 

(Disposizioni transitorie) 

13. Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, e sino alla revisione dei predetti statuti speciali, alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, ad esclusione di quelle che si riferiscono alle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione; a seguito della suddetta revisione, alle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome si applicano le disposizioni di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge costituzionale.

14. La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste esercita le funzioni provinciali già attribuite alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale.

Con riferimento ai due suddetti commi le schede di lettura del testo di legge costituzionale definitivamente approvato (pubblicato sulla G.U. n. 88 del 15 aprile 2016) dedicano un apposito paragrafo all’argomento e riportano le seguenti precisazioni:

«La “clausola di non applicazione” e la revisione degli statuti

In base alla disposizione transitoria dell’articolo 39, comma 13, primo periodo, le disposizioni del capo IV, recante modifiche al titolo V della parte II della Co­stituzione, non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime regioni e province autonome.

La clausola di esclusione delle Regioni a statuto speciale dall’applicabilità delle (principali) disposizioni di modifica del titolo V era già prevista del testo del dise­gno di legge originario nel Governo, che faceva però riferimento all’“adeguamen­to” degli statuti.

Nell’ultima lettura al Senato, il termine “adeguamento” è stato sostituito dall’espressione “revisione”.

Si ricorda inoltre che la legge costituzionale di riforma del titolo V del 2001 prevede la cosiddetta “clausola di maggior favore”, in base alla quale sino all’“ade­guamento” dei rispettivi statuti, le disposizioni della legge costituzionale si appli­cano anche alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite (L.Cost. n. 3/2001, art. 10).

Si rileva in primo luogo che la disposizione in esame introduce un aggravamen­to nel procedimento di modifica degli statuti speciali, richiedendo l’intesa con la regione interessata.

Gli statuti delle regioni ad autonomia speciale sono adottati con legge costituzionale – come dispone l’articolo 116, primo comma, Cost. – e possono essere modificati secondo la procedura di cui all’art. 138 Cost. per l’approvazione delle leggi costituzionali, con le rilevanti peculiarità introdotte dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, che ha modificato al riguardo i cinque statuti speciali:

– le proposte di modifica dello statuto di iniziativa governativa o parlamentare sono comunicate dal Governo della Repubblica al Consiglio della Regione interessata, che esprime il suo parere entro due mesi (in Trentino-Alto Adige, il parere è espresso anche dai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano); l’iniziativa ap­partiene anche al Consiglio regionale (in Sardegna l’iniziativa appartiene altresì a ven­timila elettori);

– le modificazioni allo statuto approvate dalle Camere non sono comunque sottoposte a referendum nazionale (anche nell’ipotesi in cui vengano approvate a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dei componenti di ciascuna Camera in seconda de­liberazione).

Si viene così a delineare un nuova fonte del diritto, di rango costituzionale, rafforzata e atipica, per la quale è contemplato un procedimento particolare, che introduce, per la prima volta, un elemento di natura pattizia alla base dello statuto. L’intesa sembra doversi innestare nel procedimento di modifica degli statuti previsto dagli statuti medesimi. In sede attuativa, dovranno essere individuati la fase procedimentale in cui essa interviene e gli organi abilitati a raggiungerla. Può in proposito ipotizzarsi che l’intesa sostituisca il parere del Consiglio re­gionale, previsto appunto nel procedimento di modifica dello statuto, e che sia dunque il Consiglio l’organo regionale preposto ad esprimere la volontà della re­gione.

Appare inoltre meritevole di approfondimento il rapporto tra il contenuto dell’intesa e quello della legge costituzionale di modifica dello statuto speciale: da un lato, potrebbe infatti attribuirsi all’intesa un carattere vincolante e quindi – aspetto questo del tutto peculiare – idoneo a predeterminare il contenuto della legge costituzionale, dall’altro – anche in considerazione del fatto che la dispo­sizione costituzionale prevede che la revisione degli statuti avviene “sulla base di intese” – potrebbe invece riconoscersi alle Camere il potere di discostarsi, entro limiti peraltro non facilmente definibili, dal contenuto dell’intesa.

Un secondo problema interpretativo che si pone riguarda la “revisione” degli statuti sotto un duplice profilo: 

a) il termine a decorrere dal quale la riforma costituzionale risulterà applicabile alle Regioni ad autonomia speciale;

b) l’individuazione della “revisione” degli statuti cui si applica il procedimento su base pattizia delineato dalla disposizione in esame.

Circa il punto sub a), la sostituzione, nel corso dell’esame parlamentare, dell’e­spressione “adeguamento” con il termine “revisione” determina la necessità di de­finire i limiti dell’oggetto di tale revisione così da potersi ritenere configurata la conclusione della fase transitoria.

Il termine neutro “revisione” non permette peraltro di individuare con immedia­tezza il tipo di revisione cui conseguirà l’applicazione della riforma costituzionale.

Se, da un lato, appare plausibile che non sia sufficiente una qualsiasi, anche mi­nima, revisione statutaria, dall’altro non appaiono immediatamente individuabili le caratteristiche che la revisione dovrà avere per determinare l’applicazione della riforma.

A ciò si riallaccia la problematica prospettata sub b), ossia l’individuazione delle revisioni cui applicare il nuovo procedimento caratterizzato dall’intesa con la Re­gione interessata.

Il nuovo procedimento sembrerebbe infatti applicabile solo alla revisione (o alle revisioni) conseguenti o comunque connesse alla riforma costituzionale e sconta dunque la già rilevata incertezza riguardo all’individuazione di tali revisioni.

Andrà chiarito in sede applicativa se, una volta proceduto alle modifiche sta­tutarie sulla base dell’intesa, i successivi interventi sulle disposizioni statutarie modificate debbano avvenire anch’esse con il medesimo procedimento.

La “clausola di non applicazione” concerne peraltro solo le disposizioni del capo IV, recante “Modifiche al titolo V della parte II della Costituzione”.

Ulteriori modifiche al titolo V sono invece contenute nel Capo VI, tra le dispo­sizioni consequenziali e di coordinamento dell’articolo 38; esse risultano dunque applicabili anche alle regioni a statuto speciale.

In sintesi, ferma restando la disciplina speciale prevista dai rispettivi statuti, non si applicano alle regioni a statuto speciale, sino alla revisione degli statuti medesimi:

  • le modifiche all’articolo 114, che eliminano il riferimento alle province quali enti costitutivi della Repubblica;
  • le modifiche all’articolo 117, che disciplinano il nuovo riparto di competenze legislative e regolamentari ed introducono la clausola di supremazia;
  • le modifiche all’articolo 118, che:

– espungono il riferimento alla province per l’esercizio delle funzioni ammi­nistrative;

– prevedono il principio di semplificazione e trasparenza dell’azione ammini­strativa, secondo criteri di responsabilità ed efficienza degli amministratori;

– prevedono che la legge statale possa disciplinare forme di intesa e coordi­namento tra Stato e regioni anche in materia di tutela dei beni paesaggistici (oltre che di tutela dei beni culturali);

  • le modifiche all’articolo 119, che:

– prevedono che la legge dello Stato possa disporre direttamente ai fini del co­ordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, anziché dettare principi;

– rimettono alla legge dello Stato la definizione di indicatori di riferimento e di costo e di fabbisogno;

– espungono i riferimenti alla province;

  • le modifiche all’articolo 122, primo comma, che attribuiscono alla legge statale la determinazione degli emolumenti degli organi regionali nel limite dell’im­porto di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di regione, nonché la definizione dei principi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza;
  • la sostituzione del parere della Commissione bicamerale per le questioni regio­nali con il parere del Senato ai fini dell’emanazione del decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Pre­sidente della Giunta. Per la disciplina del “regionalismo differenziato”, recata dall’articolo 116, ter­zo comma, e del potere sostitutivo dello Stato, dettata dall’articolo 120, secondo comma, l’articolo 39, comma 13, detta una normativa ad hoc per le regioni a statuto speciali, su cui v. infra.

Si applicano invece alle Regioni ad autonomia speciale anche prima della revi­sione degli statuti:

  • la modifica all’articolo 121, in base alla quale le proposte di legge dei Consigli regionali sono presentate alla Camera dei deputati;

Gli statuti speciali prevedono in proposito la presentazione dei progetti di legge ad entrambe le Camere.

Si vedano in proposito:

– l’art. 18 dello Statuto della Regione siciliana (R.D.Lgs. n. 455/46);

– l’art. 51, primo comma, dello Statuto per la Regione Sardegna (L.Cost. n. 3/48);

– l’art. 51, primo comma, dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta (L.Cost. n. 4/48);

– l’art. 26, primo e secondo comma, dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (L.Cost. n. 1/63).che prevede la formulazione da parte del Consiglio regionale di progetti di legge “da sottoporre al Parlamento”; i progetti di legge sono inviati dal Presidente della Regione al Governo per la presentazione “alle Camere”;

– l’art. 35, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR n. 670/72), che pre­vede anch’esso che i progetti formulati dal Consiglio regionale sono inviati dal Presi­dente della Regione al Governo per la presentazione “alle Camere”.

  • la modifica all’articolo 122, secondo comma, che elimina l’incompatibilità tra la carica di senatore e quella di consigliere regionale;

Si ricorda che la predetta incompatibilità è prevista da tutti gli statuti speciali. In particolare, l’incompatibilità tra la carica di senatore e quella di consigliere (o deputato) regionale è prevista:

– dall’art. 3, settimo comma, dello Statuto della Regione siciliana (R.D.Lgs. n. 455/46);

– dall’art. 17, secondo comma, dello Statuto per la Regione Sardegna (L.Cost. n. 3/48);

– dall’art. 17, primo comma, dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta (L.Cost. n. 4/48);

– dall’art. 15, terzo comma, dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia (L.Cost. n. 1/63):

– dall’art. 28, terzo comma, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR n. 670/72).

  • la modifica all’articolo 132, secondo comma, che elimina il riferimento alle pro­vince nella disciplina del procedimento di passaggio degli enti locali da una regione ad un’altra;
  • l’abrogazione dell’articolo 133, primo comma, sul mutamento delle circoscrizio­ni provinciali e l’istituzione di nuove province.

Con riferimento a queste ultime due disposizioni si ricorda che gli statuti spe­ciali recano una disciplina degli enti locali e che la relativa materia è assegnata alla competenza esclusiva delle regioni speciali.

Il “regionalismo differenziato”

L’articolo 39, comma 13, secondo periodo, dispone l’applicazione dell’articolo 116, terzo comma, Cost., alle regioni a statuto speciale e alle province autonome, a decorrere dalla revisione degli statuti, con una disciplina transitoria per il periodo precedente alla suddetta revisione.

Come già rilevato, si tratta di una significativa novità rispetto all’impianto complessivo dell’articolo 116, terzo comma, e, più in generale, rispetto ai principi che regolano la specialità, in quanto le forme di particolare autonomia delle re­gioni speciali e delle province autonome potranno essere riconosciute non solo dai rispettivi statuti, approvati con legge costituzionale (art. 116, primo comma), ma anche, sia pure limitatamente a determinate materie, da una legge ordinaria (bica­merale), previa intesa tra lo Stato e la regione interessata (art. 116, terzo comma).

In tal modo, “l’articolo 116, terzo comma, che nel vigente testo costituzionale segna la strada per un possibile avvicinamento delle Regioni a statuto ordinario alle Regioni a statuto speciale, potrà invece costituire la base per un ulteriore am­pliamento delle competenze delle autonomie speciali, che oltretutto hanno una maggiore consuetudine con la procedura pattizia delineata dalla disposizione co­stituzionale.” [Cfr. il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l’attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle Commissioni parite­tiche previste dagli statuti medesimi, approvato dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali nella seduta del 4 novembre 2015 (Doc. XVII-bis, n. 3, pag. 103).]

Circa la disciplina applicabile è previsto un doppio binario.

Fino alla revisione degli statuti – a decorrere dalla quale la riforma costituzio­nale si applicherà alle Regioni speciali (cfr. art. 39, comma 13, primo periodo) – si applica l’articolo 116, terzo comma, nel testo vigente prima della riforma costitu­zionale, limitatamente alle seguenti materie:

  • organizzazione della giustizia di pace,
  • norme generali sull’istruzione,
  • tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Questa interpretazione dell’articolo 39, comma 13, secondo periodo, si ricava infatti da una lettura sistematica della norma e suffragata anche da quanto che emerge dai lavori parla­mentari.

L’espressione “nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente leg­ge costituzionale” deve infatti intendersi riferita non all’ “articolo 117, terzo comma”, come farebbe presumere la contiguità nella formulazione, ma all’ “articolo 116, terzo comma”.

Come poc’anzi evidenziato, le differenze del vigente art. 116, terzo comma, Cost., rispetto al testo modificato dalla riforma costituzionale sono le seguenti:

– la legge che disciplina le ulteriori forme di autonomia è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, ferma restando la previa intesa con la regione interessata.

Viene dunque di fatto previsto, limitatamente a questa disciplina transitoria, un procedimento legislativo ulteriore rispetto a quelli disciplinati dal testo riforma­to della Costituzione: bicamerale a maggioranza assoluta;

– la legge deve essere necessariamente di iniziativa regionale;

– non è espressamente previsto che la Regione debba essere in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.

Si segnala altresì che la disposizione dell’articolo 39, comma 13, risulta applica­bile fin dall’entrata in vigore della legge costituzionale (cfr. il commento all’art. 41).

A seguito della revisione degli statuti, è invece prevista l’applicabilità alle Re­gioni a statuto speciale e alle Province autonome delle disposizioni sul cd. “re­gionalismo differenziato” contenute nell’art. 116, terzo comma, Cost. nel testo modificato dalla riforma costituzionale.

Alle regioni speciali si applicherà dunque la stessa disciplina prevista per le regioni ordinarie.

Il riparto di competenze legislative e la “clausola di supremazia”

In virtù della “clausola di non applicazione”, alle regioni a statuto speciale non si applica dunque il nuovo riparto di competenze legislative sancito dall’articolo 117.

Questo vale peraltro non solo nei casi in cui dal nuovo assetto di competenze discenda una riduzione degli ambiti di intervento di pertinenza regionale, ma an­che nell’ipotesi (da verificare in fase di attuazione) in cui da tale assetto derivi un ampliamento dei predetti ambiti di intervento.

Si viene così a creare una netta separazione tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario nell’applicazione del titolo V, in quanto, di fatto, alle regioni a statuto speciale continuerà ad applicarsi il testo attualmente vigente, con il correttivo della “clausola di maggior favore” prevista dalla riforma del 2001 (L. Cost. n. 3/2001, art. 10).

Una medesima disposizione andrà dunque valutata sulla base di un diverso parametro costituzionale (Titolo V vigente e Titolo V previgente) a seconda che si riferisca a regioni ordinarie o a regioni statuto speciale.

Particolarmente signifi­cativo appare a questo riguardo il profilo relativo al “coordinamento della finanza pubblica”, che risulterà di competenza esclusiva statale con riferimento alle Re­gioni a statuto ordinario e di competenza concorrente per le Regioni a statuto speciale.

Le regioni a statuto speciale sono dunque escluse dall’applicazione della “clau­sola di supremazia”, volta ad assicurare la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica e la tutela dell’interesse nazionale.

Si ricorda peraltro che gli statuti speciali, con la sola eccezione dello statuto della Regione siciliana, riconoscono l’interesse nazionale quale limite alle com­petenze legislative esclusive da essi attribuite (così l’art. 2 dello statuto della Valle d’Aosta, l’art. 4 dello statuto del Trentino-Alto Adige, l’art. 4 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia e l’art. 3 dello statuto della Sardegna).

Il potere sostitutivo dello Stato

Con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo dello Stato, di cui all’artico­lo 120, secondo comma, fino alla revisione degli statuti non sono applicabili alle Regioni ad autonomia speciale, in quanto contenute nel capo IV del testo di legge, le modifiche che prevedono il parere del Senato ai fini dell’esercizio di tale potere sostitutivo e che attribuiscono alla legge dello Stato la determinazione dei casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle funzioni in caso di accertamento del grave dissesto finanziario dell’ente.

Risulta invece applicabile, anche in assenza di revisione degli statuti, la disposi­zione di coordinamento (art. 38, comma 9), contenuta nel capo VI, che all’articolo 120, secondo comma, sostituisce il riferimento all’esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle “Province” con le “Province autonome di Trento e Bolzano”.

Tale modifica, da un lato, è in linea con l’espunzione del riferimento alle Pro­vince in tutto il testo costituzionale, dall’altro, mantiene la possibilità che il potere sostitutivo sia esercitato nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome, possibilità peraltro già riconosciuta dalla giurisprudenza co­stituzionale (sentenze n. 236 del 2004 e n. 383 del 2005).

In particolare, secondo la sentenza n. 236 del 2004, la disposizione dell’articolo 120, secondo comma, “è posta a presidio di fondamentali esigenze di eguaglianza, sicurezza, legalità che il mancato o l’illegittimo esercizio delle competenze attri­buite, nei precedenti artt. 117 e 118, agli enti sub-statali, potrebbe lasciare insod­disfatte o pregiudicare gravemente.

Si evidenzia insomma, con tratti di assoluta chiarezza […] un legame indissolubile fra il conferimento di una attribuzione e la previsione di un intervento sostitutivo diretto a garantire che la finalità cui essa è preordinata non sacrifichi l’unità e la coerenza dell’ordinamento.

La previsione del potere sostitutivo fa dunque sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze, assicurando comunque, nelle ipotesi patologiche, un intervento di organi centrali a tutela di interessi unitari. E tale sistema non potrebbe essere disarticolato, in applicazione della “clausola di favore”, nei confronti delle Regioni ad autonomia differenziata, dissociando il titolo di competenza dai meccanismi di garanzia ad esso immanenti.

È quindi da respingere la tesi secondo la quale i prin­cipî dell’art. 120 Cost. non sarebbero in astratto applicabili alle Regioni speciali.

Al contrario deve concludersi che un potere sostitutivo potrà trovare applicazione anche nei loro confronti, e che, riguardo alle competenze già disciplinate dai ri­spettivi statuti, continueranno nel frattempo ad operare le specifiche tipologie di potere sostitutivo in essi (o nelle norme di attuazione) disciplinate.”

La disposizione transitoria dell’art. 39, comma 13 prevede peraltro che a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale e sino alla revisione degli statu­ti speciali, resta ferma la disciplina vigente prevista dai medesimi statuti e dalle relative norme di attuazione ai fini di quanto previsto dall’articolo 120 della Costituzione.

Tale disposizione sembra confermare quanto già previsto dalla giurisprudenza costituzionale nella citata sentenza n. 236 del 2004, in base alla quale per le nuove competenze riconosciute in seguito alla riforma del titolo V del 2001 trova appli­cazione la disciplina del potere sostitutivo di cui all’articolo 120, secondo com­ma, Cost., mentre per le competenze già previste dagli statuti trova applicazione il potere sostitutivo come disciplinato dagli statuti medesimi (anche se non può escludersi una diversa interpretazione in base alla quale fino alla revisione degli statuti gli unici poteri sostitutivi applicabili alle Regioni speciali sarebbero quelli previsti dagli statuti medesimi).

Funzioni provinciali della Valle d’Aosta

Il comma 14 prevede che la Regione autonoma Valle d’Aosta esercita le funzio­ni provinciali già attribuite alla data di entrata in vigore della legge costituzionale in esame.

Giova al riguardo ricordare che le funzioni esercitate dalla regione Valle d’Aosta sono stabilite dallo Statuto (legge costituzionale n. 4 del 1948) e dalle relative norme di attuazione e che il comma 13 esclude in ogni caso le regioni a statuto speciale dall’applicazione diretta delle norme che modificano il Titolo V della Costituzione.

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LE RAGIONI DEL SÌ

Dal sito Basta un Sì

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Articolo 116: più potere alle regioni virtuose

Il disposto dell’articolo 116 della Costituzione viene profondamente innovato dalla riforma.

Tale disposizione, nella sistematica del Titolo V, rappresenta il fondamento delle particolari condizioni di autonomia, poiché stabilisce che “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.”

In questo breve passaggio i padri costituenti hanno inserito nella nostra carta costituzionale le cosiddette Regioni a statuto speciali, le quali, in virtù della loro particolare conformazione, sia territoriale che dal punto di vista della popolazione, godono di particolari tipologie di autonomie.

Il secondo comma di tale disposizione, che non viene toccato dalla riforma costituzionale, stabilisce che “La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.”

L’innovazione importante, apportata al disposto dell’articolo 116, sta nel terzo comma della presente disposizione, che permette particolari tipi di devoluzione di responsabilità alle Regioni virtuose e meritevoli, ossia nel caso in cui le Regioni presentino dei bilanci in regola.

Testualmente l’attribuzione di ulteriore autonomia può essere effettuata “purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”.

La richiesta di attribuzione di maggiore autonomia può venire anche dalla stessa Regione, e la legge attraverso la quale si opera tale devoluzione deve essere adottata da entrambe le Camere.

Come si spiega il permanere del procedimento bicamerale per questa legge?

È del tutto evidente che la legge attraverso cui si attribuiscono ad una Regione maggiori competenze influiscano sull’ordinamento di un Ente locale, ed è dunque logico che anche il Senato, nell’ottica di rappresentare le istanze territoriali, si esprima in maniera vincolante su provvedimenti del genere.

Si tratta di vedere quali competenze, potenzialmente, possono essere attribuite alle Regioni virtuose, al di là delle competenze costituzionalmente riconosciutegli dal nuovo disposto dell’articolo 117.

Le attribuzioni ulteriori possono riguardare le politiche sociali, le politiche attive del lavoro, l’istruzione e la formazione professionale nonché il commercio con l’estero ed il governo del territorio.

C’è da fare un’ulteriore specificazione.

Se, precedentemente, l’idea sottesa al vecchio Titolo V era quella della devoluzione incondizionata di competenze alle Regioni, con tutti i corollari negativi susseguitisi nel corso degli anni, la riforma costituzionale parte da un presupposto diverso: le materie di interesse nazionale debbono essere disciplinate direttamente dallo Stato, ma se una Regione dimostra, virtuosamente, di potersi occupare di alcune di queste è giusto che lo Stato glielo permetta.

In buona sostanza la riforma costituzionalizza, seppure implicitamente, il criterio del merito, e lo rende principio fondante il rapporto tra le Istituzioni che compongono la Repubblica, ponendo fine allo spreco incondizionato, di risorse e competenze.

 

LE RAGIONI DEL NO

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Il giurista Luca Benci ha espresso al riguardo il seguente giudizio.

«Vengono mantenute le Regioni a Statuto speciale – tutte!

Anche quelle che non hanno ragione di esserlo – con addirittura una previsione di aumentarne le competenze.

Quest’ultima previsione valevole anche per le Regioni a statuto ordinario.

Da una parte si stabilisce la “clausola di supremazia” statale secondo la quale lo Stato può invadere le competenze regionali esclusive, dall’altro si prevedono ulteriori competenze da dare alle Regioni! »

Stefano Passigli ha espresso al riguardo il seguente giudizio in un articolo pubblicato proprio oggi: «analogamente il riordino del rapporto Stato-Regioni ordinarie è del tutto incoerente con il rafforzamento di quelle a statuto speciale, le cui competenze potranno essere modificate solo dietro intesa con le Regioni stesse: la riforma rafforza così un anacronistico regime differenziato»

 

Dott. Arch. Rodolfo Bosi

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