Qual è l’elemento che unisce un ex magnate del petrolio e patron del Parma calcio, ora agli arresti in Svizzera, un ex primo ministro, nonché persona tra le più potenti del paese, e un misterioso investitore azero con passaporto statunitense che opera tramite una società registrata alle British Virgin Islands? Se il paese in questione è l’Albania, allora il trait d’union non può essere che il Trans Adriatic Pipeline (Tap), il gasdotto che dovrebbe unire Italia e Grecia passando proprio dal paese più povero dei Balcani occidentali, nonché partner centrale per la realizzazione della più grande infrastruttura energetica su cui punta l’Unione europea. Da quando la Russia è finita sotto il fuoco incrociato delle sanzioni e il gasdotto South Stream è sfumato come neve al sole – con penali da pagare, visto che in Bulgaria già se ne interravano i tubi… – il mega gasdotto di 3.500 chilometri che dovrebbe unire l’Azerbaigian all’Italia, di cui il Tap rappresenta la tratta finale, è divenuto «progetto di priorità europea» per costruire l’indipendenza Ue dalla Russia. Un paio d’anni fa l’entusiasmo da parte degli investitori per questa mega opera da 45 miliardi di dollari era alto. Oggi la situazione è un po’ diversa. Prima di tutto per l’enorme incertezza che gravita attorno alla Turchia e al ridefinirsi delle relazioni nella regione. Secondo poi, perché dal 2012 a oggi le vacche sono sempre più magre, i consumi di gas in calo, le domande sulle riserve di gas reali dell’Azerbaigian in aumento e gli investitori privati chiedono partecipazioni e garanzie pubbliche sempre più alte per costruire grandi infrastrutture, con rischio importante e una lunga fase di costruzione all’orizzonte. I cantieri-fantasma Abbiamo trovato conferma di tutto ciò visitando i due paesi che oltre all’Italia si trovano a impegnare parte del territorio, ma anche della macchina […]