«“Le relazioni culturali sono da sempre un pilastro del rapporto bilaterale tra l’Italia e la Russia che hanno permesso, anche nei periodi di maggiore difficoltà a livello internazionale, di mantenere un dialogo intenso tra i due Paesi e tra i due popoli” –, ha poi aggiunto l’ambasciatore, ringraziando il Museo Pushkin per “il suo interesse a portare a Mosca nei prossimi mesi e anni nuovi capolavori italiani”, da Michelangelo, a Dante e ai Caravaggiti, per citarne alcuni». Questo testo imbarazzante (che risale al 17 dicembre 2014) è preso di peso dal sito ufficiale del nostro Ministero degli Esteri. Davvero pensiamo di poter ‘usare’ la cultura senza avere nessuna cultura? Uno storico dell’arte sarebbe probabilmente un disastro, se si improvvisasse diplomatico: e allora perché dobbiamo ridurci a leggere, sul sito della Farnesina, che saranno portati a Mosca «nuovi capolavori italiani, da Michelangelo a Dante e ai Caravaggiti»? È vero, per secoli l’arte figurativa è stata un’importante leva diplomatica. Ma questo avveniva perché i principi, o i loro ministri, erano personalmente appassionati d’arte: un modello che non ha più alcun senso con l’avvento delle democrazie moderne, e con la nascita della storia dell’arte come disciplina scientifica. E infatti l’ultima fase, drammatica e farsesca, della diplomazia dell’arte ha coinciso con le grandi dittature: Mussolini ha usato con particolare intensità un patrimonio artistico che personalmente non conosceva, o che addirittura disprezzava. Oggi, l’unica possibile diplomazia dell’arte è quella non governativa: quella della comunità internazionale della conoscenza, che fa ricerca e divulgazione secondo i propri tempi e i propri percorsi, senza ridurre le opere d’arte a prigionieri che seguano in catene gli effimeri trionfi internazionali dei capi di governo pro tempore. Quando gli Uffizi furono costretti a prestare una delicatissima Annunciazione di Botticelli al Museo di Gerusalemme per festeggiare i 65 anni dello Stato ebraico, io e il mio […]