Francesco Erbani La forbice è ampia. Va dai 23 milioni 633 mila euro per la Scala ai 5 euro per il Real Albergo dei Poveri a Napoli. Sono le punte estreme del mecenatismo italiano, stando a uno degli indicatori, l’Art bonus voluto dal ministro Dario Franceschini, con i quali si misura la generosità peninsulare verso il patrimonio storico- artistico e le attività culturali. È un mondo variegato, si presume vasto e polverizzato, ma ancora poco conosciuto, sebbene tutti lo diano in crescita, con cifre frammentarie, dove compaiono fondazioni bancarie, gruppi industriali e finanziari e poi professionisti, nobildonne e nobiluomini, fino a giungere al napoletano che, letta la richiesta del Comune di recuperare 3 milioni e mezzo per restaurare il capolavoro settecentesco di Ferdinando Fuga, ha scucito i 5 euro restando, a tutt’oggi, l’unico sottoscrittore della raccolta fondi. Raccolta fondi che con l’Art bonus (deduzione fiscale fino al 65 per cento) ha cumulato 115 milioni versati da 3180 donatori. Il 45 per cento dei soldi è destinato a fondazioni lirico-sinfoniche, il 20 ai Comuni, il resto al patrimonio gestito dal Mibact o da concessionari. In assoluto un risultato accolto con favore: prima dell’entrata in vigore della nuova norma due anni fa, le donazioni si attestavano poco sopra i 20 milioni (diversamente regolate sono le sponsorizzazioni, che prevedono un contratto e un ritorno pubblicitario). «Il 60 per cento dei donatori sono persone fisiche», osserva Carolina Botti, direttore centrale di Ales, società del ministero per i Beni culturali che coordina l’Art bonus, «il resto sono imprese e fondazioni bancarie. A richiedere finanziamenti privati sono in prevalenza i Comuni». Il mecenatismo diffuso non è una novità, ma caratterizza questi anni di penuria. Ne è afflitta l’Italia, ma non solo. «Il Metropolitan di New York ha licenziato il 5 per cento dei curator», ricorda […]