L’organizzazione non governativa Oxfam è nata 64 anni fa ad Oxford come “Comitato per alleviare la fame nel mondo” e oggi è una federazione internazionale di 12 sezioni che operano in 75 paesi; esiste anche una sezione Oxfam Italia. Oxfam, proprio nei giorni scorsi, ha pubblicato un documento (consultabile gratuitamente in Internet) che getta nuova luce sui rapporti fra produzione agricola e alimentare e alterazioni ambientali, soprattutto modificazioni del clima dovute alle immissioni nell’atmosfera dei “gas serra”. (vedi http://www.vasonlus.it/?p=33218) I due principali responsabili del lento inarrestabile riscaldamento del nostro pianeta, sono l’anidride carbonica (CO2) e il metano; quando si nominano questi gas il pensiero corre subito ai fumi delle centrali termoelettriche che bruciano combustibili fossili (la sola centrale di Cerano, vicino Brindisi, immette nell’atmosfera circa 15 milioni di tonnellate all’anno di CO2), alle caldaie delle case, ai gas di scappamento degli autoveicoli, agli sfiati nell’atmosfera dei pozzi metaniferi. In realtà al riscaldamento globale contribuisce per circa un quarto del totale anche la produzione di cibo, quella complessa catena di rapporti che va dai campi coltivati, alle stalle, fino ai negozi e alla nostra tavola. Apparentemente la produzione alimentare dovrebbe essere “neutrale”, dal punto di vista del bilancio planetario della CO2, perché “porta via” dall’atmosfera la CO2 che utilizza, insieme all’acqua e grazie all’energia solare, per formare i vegetali per fotosintesi; la stessa CO2 ritorna nell’atmosfera in seguito al metabolismo degli animali e degli esseri umani. In realtà non è affatto così; intanto la natura “fabbrica”, con la fotosintesi, i vegetali senza occuparsi di quello che è utile per i nostri commerci; della biomassa vegetale esistente nei campi soltanto una parte, spesso meno del 40 percento, diventa cibo. Nelle piante di mais, i semi da cui trarre la farina e l’olio sono soltanto circa il 30 percento; delle olive l’olio […]