Da tempo il complesso della Cavallerizza Reale di Torino è oggetto di minacce di privatizzazione della proprietà e nell’uso e di degradazione delle sue caratteristiche qualitative. [vedi http://www.vasonlus.it/?p=7805]
E da tempo sono in atto iniziative popolari per la tutela del complesso, delle sue caratteristiche formali e del suo uso sociale. [vedi http://www.vasroma.it/cavallerizza-e-via-asti-la-vera-questione-aperta-a-torino/]
Il processo di liquidazione messo in atto dai poteri forti della città è giunto a un punto di svolta: è stato reso pubblico il mastereplan, affidato dal Comune ad attori privati.
Un gruppo di esperti, che da anni si batte per la difesa della Cavallerizza, lo ha analizzato ed espone le ragioni della sua pesante posizione critica. [CavallerizzaReale-relazione analisi masterplan]
Si tratta di una analisi critica del progetto che i poteri forti propongono per privatizzare il prestigioso complesso e sottrarlo all’uso pubblico.
Testi di Riccardo Bedrone, Paolo Berdini, Paola Somma, Elisabetta Forni ed Emanuele Negro: di questo pubblichiamo l’articolo di Paolo Berdini, pubblicato con questo titolo l’8 giugno 2016 su “Eddyburg”.
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Ci sono due date nella più recente storia della Cavallerizza Reale che fanno comprendere le motivazioni profonde del progetto presentato dalle società Homers ed Equiter per “valorizzare” il compendio della Cavallerizza reale.
Nel 2007 viene siglato il passaggio della proprietà dallo Stato al comune di Torino, conclusione coerente del lungo percorso di riconversione verso il settore culturale della città iniziato nel 1995.
Tre anni dopo, nel 2010 prende invece il via il processo di cartolarizzazione di quegli immobili, il comune accende cioè un credito per evitare la crisi di bilancio.
Il biennio 2007 – 2008 ha rappresentato come noto la svolta per il sistema economico mondiale.
Nel primo dei due inizia a manifestarsi la crisi del settore del credito immobiliare negli Stati Uniti.
Nel secondo si iniziano a misurare le conseguenze devastanti della crisi mondiale.
Tra queste conseguenze, la prima e la più immediata è l’ulteriore taglio alle finanze locali: Torino si trova dunque a dover adempiere al contratto d’acquisto della Cavallerizza stipulato con lo Stato in una fase in cui la spesa pubblica viene ulteriormente penalizzata.
Stiamo parlando di cifre tutto sommato modeste per una città importante (22,7 milioni entro il 2014), ma il comune, questo il punto decisivo, deve fare i conti con la fallimentare avventura della Olimpiadi invernali 2006.
Come si ricorderà, la candidatura era stata imposta dal gruppo dirigente della città nella vana speranza che avrebbe rappresentato l’occasione di agganciare una nuova fase di investimenti e sviluppo.
Viene insomma programmato l’ennesimo evento straordinario caricandolo della consueta retorica ideologica: le Olimpiadi porteranno ricchezza e occupazione alla città.
Il bilancio è senza appello: circa tre miliardi di deficit, un fallimento enorme di cui non si parla diffusamente.
Tutti gli investimenti comunali devono dunque contribuire a chiudere il buco ed ecco spiegati i motivi della repentina inversione di rotta: non ci sono i soldi per acquistare la Cavallerizza e per di più si utilizzano i fallimentari ingredienti della finanza creativa dominante: il compendio immobiliare viene cartolarizzato e si mettono a bilancio attivo quelli che sono soltanto dilazioni a lungo termine temporale del debito.
Il trionfo della cultura creativa iniziata con il ministro dell’economia Tremonti.
Grattacieli e norme di legge per l’intera nazione: il ruolo di Intesa San Paolo
Ma la città sabauda aggiunge un ulteriore elemento aggravante.
L’istituto che garantisce la cartolarizzazione è Intesa San Paolo, che, come noto, aveva già beneficiato della generosità comunale ottenendo un enorme aumento di volumetrie dell’edificio in costruzione per la sua nuova sede.
È la Biis, società deputata agli investimenti fondiari di Intesa San Paolo che diventa attore dell’operazione: a capo di questa società siede il braccio destro di Corrado Passera, Mario Ciaccia.
Grazie al comune di Torino e al caso Cavallerizza il duo finanziario sperimenta concretamente pacchetti di intervento e ne ricava più generali articoli legislativi validi per tutto il Paese.
Nel 2011, Passera diventa infatti ministro per le infrastrutture del governo Monti e Ciaccia viene chiamato nel ruolo di vice ministro.
Dal 2011 con i provvedimenti di Monti fino al 2014 con lo Sblocca Italia del governo Renzi, si assiste ad una organica serie di articoli legislativi che aprono le porte all’intervento finanziario nelle operazioni di trasformazione urbanistica, dall’istituzione delle società di investimento quotate (Siiq) al ruolo preminente di Cassa depositi e prestiti.
È opportuno sottolineare che proprio CDP diventa il principale operatore della trasformazione degli immobili poiché il comune ha rinunciato scandalosamente ad acquisire la restante parte della proprietà della Cavallerizza dallo Stato.
In buona sostanza, Torino si caratterizza come luogo di sperimentazione di legami sempre più stretti tra finanza e governo locale privo di risorse adeguate a garantire l’attuazione dei progetti pubblici e dunque obbligato a subire le strategie finanziarie.
Le corti della Cavallerizza reale privatizzate
È in questo quadro generale che dobbiamo collocare la fase attuale dell’attuazione del progetto della Cavallerizza reale.
Nel 2015 la Compagnia San Paolo affida senza gara di evidenza pubblica la redazione del masterplan di trasformazione e – inevitabilmente – l’elemento principale dell’operazione ruota intorno “alla valorizzazione” del compendio immobiliare, un concetto bizzarro nel caso specifico perché per quanto bisognoso di energici interventi di restauro, è la straordinaria qualità dei luoghi a garantire la valorizzazione.
È la concatenazione degli spazi e degli interventi architettonici a rappresentare un luogo unico di recente inserito nel patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco.
Non c’è nulla da valorizzare, dunque.
Dettagli trascurabili per la pseudo cultura che ancora sopravvive al fallimento dell’urbanistica neoliberista: l’importante è privatizzare, spezzettare, disarticolare nella fruizione un luogo costruito in tanti decenni su una visione unitaria.
Le osservazioni redatte dal gruppo di lavoro che ha analizzato in dettaglio il progetto (vedi tabella in calce) sono così puntuali ed efficaci da permettermi di non scendere nel piano del merito.
Un elemento deve però essere sottolineato perché a mio giudizio rappresenta una inaccettabile regressione culturale.
Nel progetto di valorizzazione dalle società Homers ed Equiter si prevede addirittura che anche le corti aperte in cui è articolato il complesso monumentale vengano “privatizzate”: esse saranno pienamente aperte alla pubblica fruizione solo in determinate ore.
Ecco dunque il concetto di “valorizzazione”: si vuotano di funzioni le città privando i cittadini della possibilità di usufruire dei più straordinari luoghi dell’identità culturale di proprietà pubblica. Un’aberrazione davvero inaccettabile.
Riprendere la lezione storica dell’urbanistica torinese
In conclusione è opportuno richiamare la breve ma importante lezione di storia urbana di Torino redatta negli anni ’60 da Italo Insolera sulla rivista di Olivetti, Comunità.
Insolera nel descrivere i passaggi storici con cui fu realizzata a partire dal seicento la splendida città di Torino afferma che per fare città belle e vivibili occorrono tre indispensabili elementi.
L’esistenza di una classe dirigente che abbia chiaro l’orizzonte sociale ed economico su cui collocare lo sviluppo urbano.
Il coinvolgimento di intellettuali architetti e urbanisti di primaria autorità culturale e bravura non delegando questa importante funzione a società di comodo o strumentali.
Come noto, i grandi architetti che disegnano Torino sono anche gli autori di quei progetti architettonici che oggi si vorrebbero “valorizzare”.
Infine la questione centrale.
Le città diventano meravigliose se la classe dirigente investe nella bellezza attraverso adeguate risorse economiche.
Negli oltre venti anni del dominio culturale neoliberista ci hanno raccontato invece che è solo l’iniziativa privata a rappresentare il motore delle trasformazioni urbane.
Il fallimento di questa ricetta antistorica è sotto gli occhi di tutti.
Invece di continuare a seguire, migliorandola laddove possibile, la storia urbanistica di Torino si sta tentando l’ennesima volgare occasione speculativa.
Se vogliamo salvare la Cavallerizza Reale, Torino e le città italiane dobbiamo tornare a quella preziosa lezione.