«Salerno, che dall’alto gode ancora della linea armoniosa del suo golfo, e di una luce dolcissima che quasi non penetra nel nodo intricato e ingegnoso delle strette vie del suo centro storico, ha difensori accaniti ed esperti»: come riscriverebbe, oggi, questo brano Elena Croce (1915-1994)? Certo, ritroverebbe i difensori di Salerno (l’esemplare sezione di Italia Nostra), ma non più la linea del Golfo, sfregiata (per sempre?) dal Crescent pervicacemente voluto da Vincenzo De Luca. La ripubblicazione della Lunga guerra per l’ambiente (a cura di A. Caputi e A. Fava, con una introduzione di S. Settis, La scuola di Pitagora editrice) della primogenita di Benedetto Croce è un fortissimo richiamo «al dovere di impegnarsi nelle battaglie civili anche contro chi resta in disparte perché calcola che non si vince» (così Mario De Cunzo). È amaro il disincanto con cui Elena Croce constata che «non sono mancati i casi in cui, pure reclamando la rimozione di gravi fonti di inquinamento come l’Italsider di Bagnoli, si doveva tremare al pensiero di ciò che l’avrebbe sostituita». E non abbiamo smesso di tremare, anche se le pressioni di un’intera cittadinanza sembrano finalmente aver indotto il governo a rinunciare alla speculazione: saranno i prossimi mesi, e la qualità della bonifica, a dirci se stavolta riavremo Bagnoli. Ambientalismo, per la Croce, non era sinonimo di immobilismo: «Una politica civile del territorio non significa del resto fare di ogni cosa museo, come sogghigna costantemente gran parte dei politici stimolando la protesta: “non vogliamo essere un museo, vogliamo vivere”. È uno degli slogan più grotteschi che abbiano infestato il nostro paese in questi scorsi anni». La soluzione è, invece, la «formazione di quadri culturali adeguati alla tutela» dell’ambiente. Ripeterlo oggi sembra ingenuo. «Ma a chi da molti anni si occupa di difesa dell’ambiente, e conosce quindi abbastanza a […]