Vittorio Taviani «Togliete le carceri dai centri storici, ma non trasformatele in alberghi e centri commerciali». Vittorio e Paolo Taviani, registi, sono in sintonia con il piano del governo, anticipato ieri da Repubblica, che prevede l’abbandono delle strutture storiche di Regina Coeli, San Vittore e Poggioreale a favore di nuovi penitenziari nelle periferie di Roma, Milano e Napoli, ma a patto che «gli spazi siano destinati al servizio pubblico dei cittadini». Da sempre attivi nelle prigioni, i Taviani hanno vinto l’Orso d’oro alla Berlinale nel 2012 con Cesare deve morire, docu-film sulla messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare da parte dei detenuti di Rebibbia. Vittorio, 86 anni, si è appena ripreso dall’incidente dello scorso ottobre, quando fu investito a un’auto in piazza Venezia. E dice: «Per noi di famiglia, parlo anche per mio fratello Paolo, e per il quartiere il carcere di Regina Coeli fa parte dell’orizzonte dei nostri sentimenti. Da cinquant’anni anni conviviamo con quello che ci arriva da là. Le famose grida romantiche dall’alto del Gianicolo e dalle sbarre, messaggi d’amore e di sostegno. Può capitare, e questo è terribile, che di notte improvvisamente arrivi una voce singola, disperata: “Qui non posso vivere”. Quando c’è una partita dell’Italia, non abbiamo bisogno di accendere la televisione. Se va bene o va male lo sentiamo dalle grida di orrore o gioia che arrivano da lì dentro». Diverse sono le condizioni di chi è recluso. «Lo sappiamo bene. Con “Cesare…” io e Paolo abbiamo vissuto un’esperienza a Rebibbia, che è un carcere buono ma con problemi di sovraffollamento. Ci capitava, prima o durante le riprese, di camminare per questi lunghi corridoi e vedere attraverso le porte semiaperte uomini vecchi e giovani distesi sui letti a castello. Immersi, per ore, in un silenzio di morte. Uno di loro mi […]