Ho discusso in queste ultime settimane con i miei studenti della specialistica e mi sono accorto che sul referendum del 17 Aprile regna una grande confusione, grazie all’azione diseducativa svolta dalla gran parte dei mass media. Rispetto al referendum sull’acqua pubblica ci troviamo in una situazione di svantaggio. In primis, non è così chiaro e dirompente il tema che si affronta: non si bloccano le trivellazioni in generale ma solo le future concessioni e solo nell’area marina di pertinenza del demanio. Per la maggioranza della popolazione la questione delle trivellazioni marittime è molto specifica, tecnica, non affronta un tema universale come quello dell’acqua “bene comune”. Non ha la sua forza evocativa, né la sua carica emozionale: sembra un problema che riguarda solo gli addetti ai lavori o le popolazioni che vivono lungo le coste dell’Adriatico e dello Jonio. Teniamo presente, inoltre, che portiamo sulle spalle l’onta della non applicazione al livello locale (con qualche lodevole eccezione come Napoli) del risultato del referendum del giugno del 2011 che portò 26 milioni di cittadini alle urne. Questo fatto ha prodotto, bisogna riconoscerlo, una sorta di sfiducia generalizzata sull’efficacia di questo tipo di consultazione. Infine, anche se pochi se ne sono accorti, non c’è stata la mobilitazione del M5S che sul referendum sull’acqua “bene comune” si era speso in tutte le aree del nostro paese, con un impegno capillare, costante, incisivo. Per tutte queste ragioni siamo in tanti ad essere preoccupati per il non raggiungimento del quorum. Sarebbe una iattura. Questo referendum, infatti, ha una valenza simbolica di grande rilevanza. Se non si raggiunge il quorum si manda un pessimo segnale a chi ci ha creduto e si è speso per utilizzare questo che rimane uno dei pochi strumenti di democrazia reale, oltre naturalmente a rafforzare il governo Renzi nella sua deriva […]