Non c’è solo l’appello del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, a turbare i sogni del premier, Matteo Renzi, in vista del referendum sulle trivelle di domenica prossima. A Montecitorio, sulle scrivanie dei deputati, nei giorni scorsi è infatti arrivata l’anticipazione di un instant book dal titolo emblematico, Trivelle insostenibili, realizzato dal WWF, l’organizzazione internazionale di protezione ambientale con sede in Svizzera. La cui costola italiana ha provato a dare risposta ad una domanda: qual è la situazione delle piattaforme offshore situate nella fascia di interdizione delle 12 miglia? Analizzando i dati forniti online dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) del ministero dello Sviluppo economico – lo stesso rimasto da pochi giorni senza un titolare dopo le dimissioni di Federica Guidi a causa dell’emendamento “Tempa Rossa” – e mettendoli a confronto con le norme relative alle valutazioni ambientali e alla sicurezza, il WWF è arrivato ad una conclusione che non può far certo dormire sonni tranquilli. E che, al tempo stesso, rappresenta un assist per gli stessi promotori del referendum del 17 aprile. Cioè: 42 delle 88 piattaforme localizzate entro la fascia offlimits delle 12 miglia, alle quali il governo vorrebbe prorogare la concessione, non sono mai state sottoposte a valutazione di impatto ambientale (Via). Si tratta del 47,7% del totale. Il motivo? Nel nostro Paese la Via è diventata operativa solo trent’anni fa (1986), proprio grazie alla legge che ha istituito il ministero dell’Ambiente. Mentre le 42 piattaforme in questione sono state costruite negli anni precedenti. Insomma: fatta la legge, trovato l’intoppo. Ma a chi appartengono le piattaforme “incriminate”? Ventisei sono di Eni o Eni Mediterranea Idrocarburi (che opera nel settore di esplorazione e produzione di idrocarburi in Sicilia), 9 di Edison e 5 di Adriatica Gas. Di queste, 5 sono piattaforme che estraggono petrolio. […]