L’attuale vuoto politico, che rischia di diventare catastrofico, e di cui la cosiddetta sinistra è al tempo stesso vittima e corresponsabile, fa emergere con forza la valenza probabilmente decisiva delle prossime consultazioni referendarie. È sempre più evidente che dal loro esito dipenderanno (per dirla in modo un po’ enfatico) le sorti del paese. In questo quadro, è difficile non prendere atto del fatto che quella fra loro che riguarda il problema delle trivellazioni marine (17 aprile) stenta a decollare, quasi che il quesito fosse di significato e dimensioni minori. Io penso che non sia così, almeno per due buoni motivi. Il primo è più specifico, anche se presenta anch’esso valenze generalissime. Questo governo, e il partito che in questo momento esso rappresenta, esprimono la posizione più risolutamente antiambientale (attenzione: antiambientale, non semplicemente antiambientalista), che nel nostro paese sia stato dato di vedere da molti decenni (forse da sempre?). L’ambiente, il paesaggio, il territorio, i beni culturali sono considerati, nel migliore dei casi, come degli oggetti o realtà morte, in cui investire più che si può, per ricavarne più che si può (spesso, però, sbagliando anche il calcolo dei rapporti fra investimenti e ricavati). Se una società petrolifera o un consorzio di palazzinari glielo chiedesse, pianterebbero trivelle o edificherebbero ecomostri anche di fronte a Piazza San Marco a Venezia o in Piazza della Signoria a Firenze. Il caso lucano è ormai sotto gli occhi di tutti, non si può più girare la testa dall’altra parte. Osservo che, della stessa natura del caso delle trivelle, sono altri casi clamorosi come quelli del sottoattraversamento ferroviario di Firenze e dell’ampliamento sconsiderato e dissennato dell’aeroporto di Peretola, anch’esso a due passi da Firenze (la quale rischia di diventare la “città martire”, e come tale meriterebbe d’esser proclamata, di questa fase produttivistico-ambientale). Del resto, in […]