Maria Pia Guermandi Nello storytelling governativo, la così detta seconda riforma Franceschini, è destinata ad occupare un posto di rilievo: illustrata come un’operazione di razionalizzazione e semplificazione della macchina ministeriale, ad una lettura poco meno che superficiale risulta essere tutto il contrario. Basta cominciare dai numeri. Ministro e comunicazione Mibact sostengono che da 17 Soprintendenze si passerà a 39: in realtà le Soprintendenze attuali sono 50 e quindi 11 in più di quelle che ci saranno a riforma attuata. La differenza sta nel fatto che, mentre fino al 2014 le Soprintendenze territoriali erano suddivise per specializzazione (architettura, belle arti, archeologia), già con la prima fase della riforma si cominciò ad accorpare architettura e belle arti e con questo secondo decreto, incorporando anche quelle archeologiche, si arriverà ad ottenere delle Soprintendenze uniche, competenti per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio nel suo insieme su territori coincidenti grosso modo a 2-3 province o quello di alcune città metropolitane. Alle Soprintendenze, già dal 2014 (DPCM 171), sono state sottratte, intanto, le competenze su tutti i musei e alcune aree archeologiche. La vecchia struttura del Mibact, già stressata da tagli lineari da 10 anni a questa parte, in asfissia di risorse sia economiche che di personale, verrà dunque sottoposta – sommando la prima e la seconda fase – ad una rivoluzione organizzativa radicale. Tutto questo – come precisa il decreto in corso di approvazione – a costo zero. E già questa mancanza assoluta di investimento mette fortemente in dubbio gli obiettivi sbandierati di razionalizzazione o addirittura di potenziamento della macchina ministeriale dichiarati da Franceschini: ad oggi l’attribuzione del personale – già di per sè insufficiente – alle nuove sedi è affidata a meccanismi di movimentazione volontaria tutt’altro che semplici e razionali. Questa movimentazione, attivata da una circolare delle scorse settimane, raggiunge […]